sabato 13 giugno 2015

Odio a perdere


Il vandalo che fece una magia




















Il professore usci dal laboratorio urlando “Qui sono tutti dei vandali, ora vado dal Preside e vedranno!” avevano deturpato la sua scultura di Carlo Alberto dalla Chiesa. Entrando nell’aula di modellato scopro che avevano inferto cinque sei colpi con il collo di una bottiglia sul mezzo busto in creta ancora fresco del generale. I buchi sul mezzo busto erano così precisi e netti che non solo sembravano voluti ma lo rendevano perfetto. Quando il prof. tornò in classe con la preside mi sono guardato bene dal rivelargli che secondo me l’opera (così rivisitata) sembrava molto più significativa, anche in considerazione del tragico evento nel quale era morto Carlo dalla Chiesa. 

























Ma quando anche una collega gli ha detto “Ma sai che potresti lasciarla così!”, allora mi sono aggiunto alla discussione consigliando al prof. di accomodare la scultura giusto un tantino qua e là e di esporla così. Mi ha risposto che lui non l’aveva pensata così e se l’avesse lasciata in quel modo era come se l’opera fosse stata fatta dal vandalo che l’aveva danneggiata. Gli ho risposto che ciò non era rilevante perché a molti artisti capita spesso di trovare soluzioni per le loro opere a causa di errori o fortunate coincidenze: Kandinskij scoprì l’arte astratta entrando nel suo studio e trovando uno dei suoi paesaggi naif, che non aveva riconosciuto, capovolto. 










Lui mi ha risposto insistendo sul fatto che quei buchi però non li aveva fatti lui, allora io ho cercato di fargli capire che oggi come oggi questo non ha nessuna importanza, inoltre lui non sarebbe mai riuscito a farli così perfetti in quanto erano stati inferti con una cattiveria ed un odio che li rendevano inimitabili e vi si leggeva per di più un furore difficilmente riproducibile. Ho tentato di fargli intendere che quello che conta è il risultato finale e che il resto fa solo parte del percorso di un’opera. Spesso un’opera ben riuscita ha una forza intrinseca difficilmente spiegabile che lancia le menti dello spettatore a significati che vanno oltre a quelli che un artista vuole raggiungere, ma uno degli obbiettivi più importanti che un’opera deve indubbiamente possedere è quello di attirare l’attenzione dello spettatore, e lui era stato fortunato che tutte queste caratteristiche fossero quasi magicamente confluite in quel suo lavoro. Inoltre un’opera che fa parlare di se prima ancora di essere esposta può solo che essere un vantaggio. 
















Questo in sostanza quello che volevo far capire all’affranto professore del Liceo Artistico, ma purtroppo i miei consigli sono caduti nel nulla e il busto è stato rimodellato in maniera quanto più classica e canonica non si poteva e la vera opera è ora sepolta nella memoria dei pochi che ebbero la fortuna di vederla e in questo breve testo che spero possa essere d’aiuto per qualcuno in futuro.


Pubblicato sul sito di “Artribune” il 2 gennaio 2015

Questo il cappello a cura della redazione:
Qui c’è un testo d’artista. Ma non è uno statement (o forse, in effetti, lo è) e neppure una considerazione critica. È un racconto. Vero, verosimile, non lo sappiamo. È un bel racconto, dal punto di vista “letterario” e da quello, diciamo così, estetologico. L’ha scritto l’immarcescibile Pino Boresta.
M.E.G.

In foto:
Ritratto digitale di Carlo Alberto dalla Chiesa (una mia opera).
Ritratto digitale di Vassily Kandinskj (una mia opera).
Graffito con Brock Vandalo font.
Foto di Liceo Artistico a Roma.


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