Pino l’eccezion(al)e
intervista a cura di Daniele Capra
Farsi invitare alla più importante
delle biennali: la madre di tutte, quella di Venezia, iniziata più
di cento anni fa nella città lagunare, diventata ora. Qualsiasi
persona dalla provata fiducia nella ragione sa che un approccio come
quello di Pino Boresta è automaticamente destinato a fallire.
L’artista romano infatti, ha lavorato insistentemente per anni per
sollecitare curatori e critici affinché lo invitassero alla kermesse
lagunare, ma con la cura di operare in maniera diretta, antipatica e
non salameleccosa. Il blitz, lo schiamazzo, la contestazione in
dibattiti pubblici, tutti interventi di disturbo in cui sono –
programmaticamente – sbagliati gli approcci, le modalità, i toni.
Potremmo dire, anzi, che se ciò non avvenisse (se cioè avessero
esito positivo le sue richieste) egli si priverebbe del piacere che
spesso hanno i bambini cattivi di rovinare con un pastrocchio gli
ordinati quaderni dei primi della classe. E poi è troppo scontato
sviluppare delle strategie vincenti. Provate voi ad immaginare come
siano delle strategie perdenti. Ecco Boresta è quel genere di
personalità: è essenzialmente un artista che ama porre domande,
rompere sonoramente i cabasisi, come scriverebbe Camilleri. Anche
l’intervista che segue ne è la dimostrazione.
DC: Dentro o fuori il sistema che
differenza fa?
PB: In prospettiva futura nessuna, ma
oggi quando un artista viene proposto attraverso canali di
particolare autorevolezza all'interno del sistema, ciò fa sempre sì
che il suo lavoro riceverà approvazione o quantomeno una forte
attenzione, a prescindere dal fatto che sia apprezzato o meno dai
più.
DC: Ma l’arte è un lavoro di
relazione…
Sì, ma ciò decreterà ogni volta
l’inevitabile e ripetuta sconfitta di chi – pur avendo alle
spalle un lavoro significativo – dovrà rassegnarsi ad affrontare
sempre una sorta di sfiducia sistematica, che comprometterà la
qualità e la quantità di attenzione necessaria ad una comprensione
adeguata del suo lavoro.
DC: Ma allora vuoi semplicemente
cambiare il sistema?
PB: Semplicemente! Ti pare poco?
Bisognerebbe farla finita con queste logiche opportuniste utilizzate
ogni volta per confezionare Biennali e Quadriennali a vantaggio dei
soliti artisti ammanicati sostenuti da un ristretto corporativo
nucleo di gallerie fondazioni ed istituti!
DC: Quindi il Padiglione Italia di
Sgarbi è benvenuto!
PB: Mah! Non lo so, di sicuro io non
pensavo certo ad una formula come quella di Vittorio Sgarbi! Ma più
a quella ugualmente criticata che adotterà la Quadriennale – che
mi ero permesso di suggerire il 4 ottobre 2008 parlandone con Roberto
Pinto, Emanuela De Cecco, ed altri, nell’intervallo della
presentazione di un libro della Subrizi – dove saranno degli
artisti ad invitare altri artisti. Anche se visto l’andazzo dei
fatti che mi riguardano ultimamente non credo che le cose cambieranno
gran che per me.
DC: Non penso che per te sia
importante diventare noto, quanto piuttosto far ragionare la gente
attorno ai meccanismi di inclusione/esclusione.
PB: Si! Esatto!
DC: E hai cominciato subito con
azioni pubbliche. Quando è stata la prima?
PB: Una tra le prime fatte è quella
dove ho fatto quell’intervento estemporaneo di cui ti ho
raccontato, nel quale ho promosso il mio progetto Firma Boresta.
L’occasione era la presentazione del libro di Carla Subrizi Perché
Duchamp alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
DC: Non ricorderai nemmeno cosa hai
detto…
PB: Si! Perché me lo sono scritto su
un fogliaccio lì per lì che ancora possiedo. “Sono qui per
parlare di Duchamp e dell’importanza della sua opera, ma purtroppo
non ho preparato nulla e inoltre hanno parlato e dovranno parlare
persone sicuramente più accreditate di me. Io però ho un sogno,
anzi no! Ho fatto un sogno, un sogno dove il Duchamp con una parrucca
bionda mi esortava dicendomi “vai vai alla conferenza di Carla
Subrizi che ha scritto e presenta un bel libro su di me”. Pertanto
su mandato del grande Marcello sono qui in veste di parassita,
parassita dell’arte, nel tentativo di far diventare una petizione
un opera d’arte. Voglio valutare se una raccolta firme può
divenire opera d’arte, ma anche verificare fino a che punto oggi
un artista non sostenuto e promosso dai soliti volti noti, critici e
galleristi potenti, possa ancora incidere ed influenzare questo
dibattito ampliandolo nelle sue dinamiche come sicuramente ha fatto
Duchamp, e a cui credo sarebbe piaciuta questa mia idea. O forse no?”
DC: Forse no! E poi?
PB: Ho poi distribuito i miei volantini
e raccolto qualche firma.
DC: Cosa ti rimane ora del progetto
PB: Tutto! Ma quello che ancora oggi mi
domando è a chi un curatore quale Daniel Birnbaum, intellettualmente
onesto e corretto, come sostengono, abbia chiesto informazioni su un
certo artista Pino Boresta, che gli aveva inviato un grosso pacco con
quasi 1000 firme, pubblicazioni e materiale vario riguardante una
curiosa iniziativa che consisteva in un auto petizione per essere
invitato alla sua Biennale di Venezia?
DC: Magari non le ha nemmeno viste
di persona…
PB: So di certo che l’ha ricevuto e
visto, in caso contrario sarebbe molto strano per un curatore serio.
DC: Magari il tuo lavoro lo
interessava o magari gli faceva semplicemente schifo!
PB: Bravo! Esatto, magari gli
interessava o magari gli faceva schifo ma sicuramente avrà chiesto a
qualcuno vicino a lui che meglio conosceva il panorama artistico
italiano, e cosa gli avrà detto non lo saprò mai ma posso
immaginarlo visto poi come sono andate le cose.
DC: Lo ripeto. Avresti dovuto
approfittare di quell’incapace di Sgarbi…
Che vorresti dire che se non sono
riuscito ad infilarmi alla biennale nemmeno con Sgarbi non ho
nessuna speranza di riuscirci?
DC: Sì!
PB: Forse hai ragione ma io credo che
al padiglione Italiano curato da Vittorio Sgarbi avrebbero dovuto
partecipare solo artisti che fanno un certo tipo di lavoro, artisti
che fanno un lavoro che esce fuori anche nel caos più totale di
mille opere e che anzi del caos si nutrono.
DC: Dovevi chiedere a lui!
PB: L’ho fatto e mi ha pure
telefonato, ma poi mi ha detto che non lo convincevo, ma forse è un
buon segno. Io nel partecipare non avrei di certo avuto nulla da
perdere, che volete che me ne importi a me di attaccare la mia opera
appiccicata ad altre mille, quando io come un parassita le attacco
addirittura sopra le opere degli altri. Cosa volete che me ne importi
a me di dover competere per accaparrarmi un po’ di attenzione del
pubblico dell’arte tra centinaia e centinai di opere di quasi
trecento artisti, quando da diciotto anni attacco nelle strade delle
città i miei adesivi con la mia faccia alla merce distratta dei
passanti cittadini e competendo tutti i giorni con la massiccia
invasione pubblicitaria con la quale le città sono aggredite e
violentate. Lì si che rischio di perdere la mia battaglia, e ogni
giorno mi prendo la mia rivincita.
DC: Questo però non ti ha portato
da nessuna parte…
PB: Ma per esempio mi ha portato a te…
tu sei nessuno?
DC: Quindi Venezia rimarrà solo un
sogno?
PB: Ma io c’ero al padiglione e ci
sono tutt’ora guardate bene!
DC: Cosa hai fatto?
PB Ho srotolato il mio manifesto in PVC
I want Pino Boresta to the Venice Biennial ed è rimasto lì appeso
abusivamente tutto il giorno dell’inaugurazione. In molti lo hanno
visto e possono confermare non ultima un’entusiasta Laura Palmieri.
DC: C’è qualcosa che ti è
piaciuto dell’ultima Biennale di Venezia?
PB: Della Biennale mi è piaciuto il
padiglione della Spagna intitolato L’inadeguato quando l’ho
scoperto pensavo fosse dedicato a me. Infatti, non capisco perché
non ci sono pure io tra gli invitati agli eventi. Pensa uno dei miei
articoli che ho scritto sulla rivista Juliet, con la quale collaboro
da diversi anni, si intitola L’inattuale, curioso no?
DC: Non sei l’unico a lamentarti
allora…
PB: Sono esattamente dentro e sulle
tematiche delle quali si dibatte ultimamente nell’arte oggi, avendo
in tanti anni di lavoro, contribuito affinché venissero allo
scoperto, ma mi sa che hai ragione tu… sono proprio antipatico e
sbaglio tutti gli approcci visto che anche lì, tra questi, non mi
vogliono e non vogliono darmi visibilità.
DC: Ma no, sei il solito dietrologo!
PB: Invece è come se ci fosse qualche
oscura figura che trama contro di me e fa si che io non ci sia lì
dove è importante esserci. Mania di persecuzione?
DC: Sì!
PB: Può darsi, ma quando anche qualcun
altro ti dice e conferma alcune delle cose che pensi, incominci a
credere che forse le tue valutazioni non siano del tutto sbagliate.
DC: Ma non sei stufo di lamentarti?
PB: Ma te l’ho detto gli altri lo
fanno perché vogliono ottenere qualcosa io lo faccio perché fa
parte dell’opera. Vogliono che smetta! Vogliono che smetta di fare
l’artista? Beh se Cattelan smette, come ha detto, anche io smetto
di fare l’artista. È l’effetto trascino, ma se poi penso che lui
però qualche soddisfazione se la sia tolta mentre io no, quasi quasi
mi viene voglia di ripensarci! Ah ah!
DC: E quindi?
PB: Facciamo così: mi do tempo altri
due anni e se non riesco a essere invitato alla prossima Biennale mi
suicido!
Pino
Boresta Ultimatum
Intervista pubblicato
su; "EQUIPèCO" n. 30 del 2011
In foto: Andrea
Camilleri fotocomposizione, Roberto Pinto - Emanuela De Cecco
fotocomposizione, Carla Subrizi, Vittorio Sgarbi, Intervento
CUS a Londra, Allestimento del Padiglione Spagnolo della 55°
Biennale di Venezia, La mia opera dal titolo “Ultimatum”.
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