Il Fatto Quotidiano venerdì
12 maggio 2017
Intervista di Claudia Colasanti a Pino Boresta
“Io eterno escluso insegno per strada cosa
sia l’arte”
Sulla Biennale ne sa una
più del diavolo: è Pino Boresta, romano, 55 anni, da 30 indomito provocatore
urbano e situazionista, talvolta simpaticamente molesto. Tutte quelle smorfie
appiccicate sui pali e sui cartelli stradali di Roma (e non solo, basta
arrivare ad un appuntamento artistico, che sia Kassel o Zurigo) portano le sue
espressioni facciali. Allegre, incazzate, irreverenti, smaniose. Non si ferma
mai, è logorroico, ma non entra nei circuiti ufficiali nemmeno quando sarebbe
più che lecito.
Così è stato anche per
anni anche il suo tentativo di partecipare alla Biennale veneziana. Una
delle sue opere più celebri, 2013, si intitolava proprio: Perché NON ME alla
Biennale di Venezia?”.
La domanda all’allora direttore artistico Massimiliano Gioni, urlando durante la conferenza stampa ufficiale. Mentre il presidente Paolo Baratta pensava si trattasse di una performance ideata dallo stesso Gioni, fu portato fuori dall’incontro a forza. Ha appena attraversato un momento economico particolarmente difficile, ma è – ovviamente – qui a Venezia, all’insegna dell’impossibilità dell’arresa.
Claudia Colasanti:
Boresta, perché è qui quest’anno? L’hanno invitata finalmente?
Pino Boresta: Sono qui
proprio perché come sempre, non sono stato invitato. Nonostante le mie
difficoltà devo dimostrare che ancora una volta “Io vivrò”, nonostante la
resistenza di tutti.
C.C: Di recente però ha
avuto una dimostrazione di affetto e generosità da parte anche dall’ambiente
artistico. Il suo crowdfunding per evitare lo sfratto suo e della sua famiglia
ha raggiunto gran parte dell’obiettivo. È più stupito o contento?
P.B: Mi sono emozionato,
forse non me lo aspettavo. Molte persone, anche insospettabili, mi hanno
dimostrato la loro stima in questo modo laterale. Da un bisogno è nato anche
uno scambio per me sostanziale: a tutti loro ho donato un’opera come le
storiche “Smorfie Texture” e gli ormai introvabili adesivi delle smorfie
urbane. Forse la mia arte trentennale ha trovato un altro modo di essere
percepita, oltre le rassegne internazionali a cui non ho mai avuto accesso.
C.C: Sta visitando la
Biennale durante l’ambita vernice dei tre giorni ‘vips’. Cosa ne pensa? Vede un
cambiamento nelle ultime edizioni?
P.B: Sostanzialmente no,
c’è un’altra volta di tutto per tutti i gusti. La crescita delle azioni
performative ne è un esempio. Ora è una performance continua, e mi vien da
ridere, perché le proponevo già più di venti anni fa, compresi gli ArtBlitz
clandestini, che di tanto in tanto, quando meno ve lo aspettate, rifarò. Contro
(o a favore, chissà) il sistema dell’arte che, pur essendosi privatamente
ammorbidito, rappresenta sempre una belva in agguato, un ostacolo
insormontabile.
C.C: Contro o a suo
favore? Vuole ancora partecipare? Magari alla Biennale del 2019?
P.B: È un punto cruciale,
poiché le mie azioni, che appaiono contro, non fanno altro che promuoverlo ed
appoggiarlo. La gente che mi vede in strada (compresi gli interventi di Street
Art) apprende proprio da me il perenne escluso, cosa sia l’arte contemporanea.
Prima o poi un Direttore Artistico lo capirà.
In foto: io in una foto, l'articolo uscito sul Fatto Quotidiano nel 2017, una mia opera della serie "Smorfia Texture" del 1995.
Nessun commento:
Posta un commento