Intervista di Caterina Orioli a Pino Boresta
In che modo il Progetto Oreste si può inserire nel concetto di Arte Relazionale
Credo
che Oreste si possa considerare uno dei principali progetti di Arte Relazionale
nel nostro paese, e probabilmente eravamo tra i primi artisti in Italia a
parlare convintamente di esperienza relazionale come soggetto artistico.
Durante la prima lunga residenza ognuno di noi portò il racconto della
consapevolezza ma anche dell’inconsapevolezza del proprio lavoro, frutto
dell’attività che stavamo svolgendo e sperimentando con le nostre opere
relazionali. Durante la seconda e le altre due residenze che si tennero in
Basilicata (le prime due si erano tenute in un paesino del Lazio proprio vicino
a dove vivo io tutt’ora) non ci furono solo incontri dove confrontarsi, ma la
situazione divenne sempre più articolata, organizzando una serie di attività
non solo in loco ma pianificando diverse che continuarono in giro per lo
stivale e all’estero. Non posso certo mettermi qui a raccontare tutto e
purtroppo non troverai ogni cosa neanche nei tre libri ufficialmente realizzati
dal gruppo operativo di Oreste, né tanto meno nelle varie citazioni nelle
diverse pubblicazioni qui e lì, e forse sarebbe tempo di cominciare a pensare
ad una esaustiva e dettagliata. Oreste fu comunque in un certo qual modo
percepito fin dall’inizio, come un progetto rivoluzionario che aprì una nuova
visione dell’arte non solo in Italia. Questo avvenne specialmente grazie alla
visibilità internazionale che ottenemmo in virtù dell’invito alla Biennale di
Venezia del 1999 di Harald Szeeman. Nel corso di questa 48° Biennale lo spazio
del Progetto Oreste era collocato in una saletta dell’ex Padiglione Italia che
proprio quell’anno venne da Harald abolito, utilizzando il vasto padiglione
centrale per la mostra internazionale. Avevamo a nostra disposizione anche un
terrazzino che dava su uno dei canali interni dei giardini della biennale che
fu comodissimo per l’allestimento del nostro spazio, ma che risulto utilissimo
e sfruttammo abbondantemente per pranzi e situazioni non solo conviviali.
Durante tutto il periodo della biennale ci fu un coinvolgimento attivo di una
quantità enorme di realtà artistiche e culturali nazionali ed internazionali
con una partecipazione veramente rilevante di personalità non solo del mondo
dell’arte, e con una platea di pubblico veramente considerevole. Mi ricordo che
in seguito ho avuto modo di rilevare che, pur non avendo capito esattamente di
cosa realmente si trattasse e in che veste fossimo lì, tutti i visitatori si
ricordavano della presenza di Oreste, a differenza dei vari artisti
partecipanti in quell’edizione che quasi tutti avevano invece ben presto
dimenticato. Questo riscontro ha destato in me una serie di riflessioni, perché
uno dei nostri intenti, ampiamente dichiarato era quello di rimettere al centro
dell’attenzione gli artisti e il loro lavoro nei confronti di un pubblico
dell’arte spesso disattento e superficiale, attratto più dalla mondanità delle
kermesse dei vernissage artistici che dall’opera dell’artista. E bene in
quell’occasione era accaduto che un soggetto artistico collettivo che aggregava
una serie di persone che non erano solo artisti, non esponendo nessun tipo di
opera se non se stessi e le proprie idee, aveva destato una curiosità ed un
interesse maggiore a molti altri se non a tutti gli altri. Questo era dovuto
alla fame di partecipazione crescente che vi era da parte di un pubblico
dell’arte che voleva sempre più essere coinvolto nella realizzazione di opere e
progetti artistici. Questo, noi Orestiani lo avevamo capito già da tempo, prima
di molti altri, e per questo con il nostro operato avemmo successo rimanendo
nella memoria di chi aveva avuto modo di conoscerci e incontrarci. Ma solo
pochi di noi sono stati nel tempo poi premiati, in quanto non tutti risultarono
funzionali al sistema dell’arte che dette spazio ed attenzione giusto ad
alcuni.
Che ruolo aveva (se di ruoli si può parlare) all’interno del Gruppo?
Come
ho già raccontato in un'altra occasione, all’epoca mi ero comprato da poco una
telecamera e per questo fu affidato a me il compito della documentazione video
e fotografica non solo degli incontri e delle presentazioni dei residenti e
degli ospiti, ma più in generale della residenza in tutti i suoi vari e
variegati aspetti. Questo perché, abitando vicino alla residenza ero tutti i
giorni presente, per cui oltre a svolgere altre mansioni logistiche mi potevo
occupare tranquillamente anche della documentazione e di ogni aspetto di quella
che era diventata una comunità artistica a tutti gli effetti.
Ma
questo avvenne solo per le prime due edizioni perché come ti ho detto poi la
residenza si spostò nel sud Italia. Ecco cosa ho già scritto al riguardo:
A fronte di qualche sacrificio mi ero comprato da poco una
telecamera Panasonic RX1 (all’epoca mi ricordo che spesi 1.150.000 Lire). Un
acquisto che avevo voluto affrontare a tutti i costi visto che era nata la mia
prima figlia (Soele) già da un anno e ancora non ero riuscito a immortalare i
suoi primi anni di vita con dei filmini, così come facevano tutti, e io non
potevo certo continuare a perdere i migliori anni di mia figlia. Quando Salvatore
scoprì che possedevo una telecamera, d’accordo con Cesare decisero di
assegnarmi il compito della documentazione video fotografica. Infatti, io
vivevo, e vivo tutt’ora, molto vicino a dove si sono svolte le prime due
residenze di Oreste, e per questo ero tutti i giorni presente. Insomma, presi
così seriamente questo incarico che cominciai subito a schedare
fotograficamente tutti i partecipanti alla residenza, e anche tutti gli ospiti
che di volta in volta ci venivano a trovare durante i vari incontri,
discussioni, eventi, etc. Inoltre, fin dalla prima presentazione d’artista,
incominciai anche a fare dei video di documentazione, che ho avuto modo di
rivedere ultimamente proprio durante i giorni cafausici della post-mortem di
Oreste, e devo dire che erano (e sono) un po’ troppo artistici, ma io ero
artista, e per la prima volta avevo tra le mie mani una vera telecamera tutta
per me; per cui non ho saputo resistere alla tentazione di infilarci riprese
sperimentali probabilmente discutibili. All’epoca, nella mia inesperienza,
pensavo che più che altro l’importante fosse la registrazione audio dei vari
interventi, che però avveniva sempre per mezzo del microfono della telecamera,
e per questo motivo spesso anche le inquadrature erano e sono piuttosto improbabili:
inquadravo piedi, zummavo bocche, facevo primi piani di orecchie, oppure:
capovolgevo o trascinavo la telecamera, improvvisavo filtri che anteponevo
davanti alla lente di ripresa, etc. Nonostante ciò, ci sono comunque parecchie
buone riprese, e poi le ore di girato furono così tante che alla fine Mario
Gorni è riuscito comunque a montare un bel filmato su Oreste che è stato
presentato in diverse occasioni.
Presi
così seriamente il mio ruolo di documentazione che mi entusiasmò al punto tale
che mi venne in mente di realizzare con questo materiale un lavoro che sarebbe
poi risultato utilissimo ai fini della memoria storica, in particolare delle
prime due edizioni. Ecco cosa ho detto e già raccontato in un'altra occasione:
Oreste mi ha dato l’opportunità di realizzare uno dei lavori più divertenti che abbia mai realizzato: l’album delle figurine di Oreste, che in realtà sono due perché uno è Album Oreste Zero e poi c’è il secondo Album Oreste Uno. Ricordo ancora come fosse ieri l’euforia dipingersi sui volti di coloro che trovavano la loro figurina all’interno delle bustine appena aperte. Credo che regalare felicità sia una delle gioie più belle della vita, e quella volta a me era riuscito inaspettatamente bene, per questo ne rimasi per molto tempo orgoglioso e lo sono tutt’ora. Quando durante la residenza di Oreste la mattina arrivavo con i pacchetti di figurine, freschi, freschi appena fatti, preparati durante la notte per stare al passo con le richieste, venivo praticamente preso d’assalto dai residenti e finivo tutta la produzione nell’arco di pochissimo tempo. Dovevo così tornare a casa a farne delle altre, ma essendo la manifattura delle bustine contenente le figurine uno degli aspetti più rognosi della realizzazione del progetto, per fare più in fretta escogitai l’espediente che a coloro che mi riportavano dieci bustine aperte, che riutilizzavo restaurandole, regalavo in cambio due bustine piene. Era quindi diventato divertente guardare con quale circospezione spesso le persone aprivano le bustine appena comprate. Questo escamotage mi dette la possibilità di una produzione un po’ più celere, senza riuscire comunque a soddisfare le richieste giornaliere. Un altro aneddoto divertente che posso raccontare è quello legato alla foto che si trova proprio sul pieghevole del programma del MAMbo 2019, dove si vede la prima foto di gruppo in assoluto di Oreste, e che si trovava nell’Album Oreste Zero. Ma quelle che vediamo rabberciate nella foto del programma sono le due figurine che Salvatore Falci ha acquistato per ben cinquanta figurine da Zeno Lumini, che era stato l’unico fortunato a trovare entrambe le parti riuscendo a comporre l’ambita foto di gruppo. Un’offerta così vantaggiosa che Zeno, messo sotto pressione da Salvatore, non poté rifiutare tant’è che, pur avendole già attaccate sul suo album, decise di staccarle per darle a Falci in cambio della cospicua offerta. Per cui queste che si vedono sono le due parti rabberciate sull’album di Salvatore Falci che poi è diventata a sua volta una figurina del mio diario con immagini e brevi testi (una sorta di diario con figure) dell’Album Oreste Uno. In seguito, qualcuno ha anche azzardato sostenere che questo diario per immagini del secondo album di Oreste è stato una sorta ante-litteram di Facebook.
All’interno
dell’“Album di Oreste Uno” realizzai anche una vera e propria accurata indagine
statistica (frutto di un rigoroso database messo giù con un mio amico che studiava scienze statistiche) con tanto di grafici riguardante le prime due residenze che fu
anch’essa particolarmente apprezzata, ecco cosa racconto riguardo la bozza di
uno di questi grafici che ha avuto un inaspettato successo essendo stato poi
pubblicato in diverse occasioni:
Tabella Oreste – Se avessi saputo che questo piccolo schema fosse diventato così importante, avrei posto graficamente più attenzione nel farlo, ma probabilmente non avrebbe avuto la stessa freschezza ed impatto e non sarebbe piaciuto. Infatti, per me era solo una brutta copia eseguita velocemente, ma quando l’ho mostrata a Giancarlo Norese e a Cesare Pietroiusti, con l’unica intenzione di mostrare i dati, hanno manifestato un tale entusiasmo che in parte mi sorprese, e verso il quale non ero preparato, specialmente da loro che in genere erano sempre gratuitamente severi nei confronti del mio lavoro. Ma ciò ha fatto sì che, anche questo, sia diventato uno dei miei ricordi piacevoli legati al Progetto Oreste (1997-2001).
Come è stata l’esperienza della Biennale?
È
stata un’esperienza piena e molto costruttiva. Quell’anno facendo parte del
gruppo operativo di Oreste passai moltissimo tempo a Venezia, e oltre aiutare
lì dove vi era bisogno, mi occupai e organizzai in particolare la presentazione
dell’Album di figurine di Oreste Uno di cui ero autore (ne ho parlato sopra)
che si tenne alla libreria/bookshop Patagonia a Dorsoduro 3490/b. Presentazione
e diffusione che continuò poi nella nostra sala ai giardini della biennale. Ho
poi organizzato e curato con Piermario Ciani e Vittore Baroni (The Stickerman
Museum di Viareggio) quello che credo possa considerarsi il primo
convegno/evento sugli stickers d’artista che intitolai: “Adesivi urbani
autoprodotti”. Ricordo che durante e dopo l’incontro la nostra sala si riempì
di adesivi attaccati ovunque straripando anche nelle sale limitrofi, nonostante
avessi in realtà predisposto dei pannelli di compensato e un telo di plastica
dove attaccarli, ma che furono all'istante ricoperti. Ho conservato alcuni di
questi pannelli che possono considerarsi in qualche modo storici. Anche questo
credo sia stato probabilmente il primo bombing adesivo effettuato in un
contesto artistico e non solo. Vi era pure un contenitore colmo di adesivi dove
chiunque poteva prendere quelli che voleva o allo stesso modo poteva lasciarne
degli altri sempre in distribuzione. Durante la partecipazione alla Biennale di
Venezia si è svolta nell’estate anche la 3° edizione della residenza di Oreste
alla quale partecipai soggiornando per una settimana e nella quale ho dato vita
e realizzato la mia performance "Un'emozione d'oro" (“A Gold Emotion”
in inglese) dove dopo la performance di una serie delle mie famose smorfie
tracimai in un pianto che mi auto-procuratomi, durante il quale rimasi
immobile di fronte a tutto il pubblico presente composto prevalentemente dai
partecipanti alla residenza ma non solo. Dopo di che lessi quello che viene
ritenuto una sorta di manifesto, ma che tale non è, riguardante il mio progetto
C.U.S. Cerca ed Usa le Smorfie. Durante la 4° residenza di Oreste, ho invece
organizzato la “Cinesiesta” una rassegna durante la quale si vedevano dei film
(in versione VHS recuperati qui e lì) particolarmente interessanti consigliati
dai vari orestiani. I film che vennero proiettati erano stati scelti nei mesi
precedenti a seguito di un lungo scambio epistolare via e-mail, al termine di
ogni visione nacquero appassionate discussioni. Ricordo che essendo presente
alla residenza un vero e proprio regista ci balenò per la mente la bislacca
idea di realizzare un film, ma rinunciammo quasi subito a questa più che ardita
idea. Dopo la biennale le persone che in qualche modo avevano partecipato ad
Oreste erano moltissime ed io tentai anche una sorta di censimento fotografico
che ho pubblicato su un numero speciale della rivista d’arte Juliet (come
allegato al n.97 dell’aprile 2000) curato per quell’occasione proprio da
Vittore Baroni e Piermario Ciani.
Cosa ha segnato la fine di Oreste?
Come
ho già detto in altre occasioni uno dei motivi risiede sicuramente nel fatto
che, specialmente dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia, coloro che
volevano partecipare a Oreste erano diventati così tanti, e non solo
dall’Italia, che organizzare le residenze era diventato un impegno enorme. Vi
erano poi tutti gli eventi collaterali di Oreste, e gestire tutto questo era
diventato troppo difficile e impegnativo per tutti noi. Inoltre, come sempre
succede nei gruppi d’artisti, specialmente se numeroso come era quello di
Oreste, dopo un po’ di tempo nascono inevitabile delle incomprensioni
reciproche dettate il più delle volte da aspettative disattese dell’uno o
dell’altro.
Quale è oggi la sua eredita?
Credo
abbia contribuito a far crescere la curiosità e l’interesse nei confronti
dell’Arte Relazionale e le sue pratiche, ma voglio rispondere a questa tua
domanda con la domanda che mi ha fatto la curatrice Simona Carbone in occasione
della mostra “No, Oreste, No!” tenutasi nella Project Room del MAMbo di Bologna
nei mesi di marzo e aprile 2019, e che ha ripercorso la vicenda del Progetto
Oreste attraverso i materiali che lo riguardano. La mostra era accompagnata
anche da una pubblicazione all’interno della quale nell’intervista Simona mi fa
questa domanda che penso sia quanto mai indicativa e rivelatrice di quello a
cui ha contribuito un progetto come quello di Oreste: “Leggendo gli atti del
convegno al Link di Bologna nel 1997 Come spiegare a mia madre che ciò che
faccio serve a qualcosa?, emergono tanti temi interessanti come la formazione
dell’artista, la sua relazione con il mercato ma soprattutto con il mondo
dell’informazione, le diverse riflessioni sulla quotidianità come soggetto
dell’opera e sul soggetto stesso produttore dell’opera, ovvero l’artista e la
sua identità. Sono passati più di vent’anni da allora, sembra che il mondo
dell’arte si faccia ancora le stesse domande, ne convieni o no?”
Sì! O poco più fu la mia concisa risposta, ed aggiungo che ora che probabilmente è per questo che sarebbe stato utile che il Progetto Oreste in qualche modo continuasse. Oreste ha dato una nuova visione sulle residenze d’artista dando vita così a format di residenze innovative. Residenze di artisti se ne facevano anche prima di Oreste, ma le modalità erano diverse; erano residenze chiuse in sé stesse a uso e consumo dei soli residenti. Invece, Oreste era aperta e inclusiva. Ma il più grande merito di Oreste credo sia stato quello di creare intorno alle vicende delle residenze un entusiasmo che prima non c’era. Per questo in realtà Oreste non è mai stata una semplice residenza d’artista ma è stato più esattamente quello di cui parla S. Carbone nella sua domanda, e questo Harald Szeeman l’ha immediatamente capito ed è il motivo per quale ci ha invitati alla Biennale di Venezia.
Ti aggiungo qui anche dei link dove potrai trovare altre informazioni riguardante il Progetto Oreste, ed essendo da me scritti puoi utilizzare se ne hai bisogno.
Il
progetto Oreste raccontato da Pino Boresta:
Chi
è Oreste? di Pino Boresta:
http://pinoboresta.blogspot.com/2009/09/chi-e-oreste.html
Oreste
è maggiorenne:
http://pinoboresta.blogspot.com/2020/05/oreste-e-maggiorenne.html
PROGETTO
ORESTE (1997-2001):
http://www.cagliariartmagazine.it/progetto-oreste-1997-2001/
Tutti hanno giocato da liberi tornanti:
https://www.piziarte.net/boresta2.htm
In foto: una bustina delle figurine dell'Album di Oreste Uno, collage di alcune figurine di momenti conviviali dell'Album di Oreste Uno, pubblicazione dell'Album di Oreste Uno sul Libro di Zerynthia, una mia tabella statistica fatta a mano, una riunione del gruppo di Oreste a Bologna, collage di figurine dell'Album di Oreste Uno.
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