domenica 10 dicembre 2023

Indice interviste dal 1999 al 2022


ph Giovanni De Angelis











Indice interviste dal 1999 al 2022

Elenco di coloro che mi hanno fatto delle interviste; dove e quando sono state pubblicate.

Interviste di:

Elisabetta Sonnino pubblicata nel 1999 su Undo.net Clicca qui e trovi il link

Ugo Giuliani pubblicata il 13/lug/2001 su Exibart.com Clicca qui e trovi il link

Patrizia Carollo mai pubblicata del 2004 Clicca qui e trovi il link

Salvatore Caruso pubblicata nel 2004 su Avision.it e Percorso vita Clicca qui e trovi il link

Francesca De Niccolò mai pubblicata del 2005 Clicca qui e trovi il link

Francesca Alderisi Intervista televisiva del 2/giu/2005 su Roma Uno Clicca qui e trovi il link

Daniele Capra pubblicata nel 2011 su EQUIPèCO n.30 Clicca qui e trovi il link

Soele Boresta mai pubblicata nel aprile 2009 Clicca qui e trovi il link

Domenico Di Caterino pubblicata il 19/apr/2013 su TAM Tavor Art Mobil Clicca qui e trovi il link

Francesco Cogoni pubblicata il 26/ott/2016 su Cagliari Art Magazine Clicca qui e trovi il link

Luca Rossi pubblicata il 7/giu/2016 su Tuttomostre CdW Clicca qui e trovi il link

Claudia Colasanti pubblicata il 12/mag/2017 su Il Fatto Quotidiano Clicca qui e trovi il link

Simona Pandolfi pubblicata il 20/apr/2017 su Roma Italia Lab Clicca qui e trovi il link

Cristiana Cobianco pubblicata il 29/set/2017 su Remweb.it Clicca qui e trovi il link

Edwige Comoy Fusaro mai pubblicata nel dicembre 2017 Clicca qui e trovi il link

Cesare Biasini Selvaggi pubblicata il 24/gen/2022 su Exibart.com Clicca qui e trovi il link

Caterina Orioli per la sua Tesi di Laurea marzo 2022 Clicca qui e trovi il link


Luca Rossi


Perché fai l’artista? Risponde Pino Boresta

Intervista di Luca Rossi a Pino Boresta




Luca Rossi: Perché fai l’artista? E come hai cominciato?
Pino Boresta: Faccio l’artista perché credo di avere qualcosa di diverso da dire rispetto a quello che stanno dicendo altri artisti.


L:R: Che cosa rispondi a chi dice che, al di là delle tue facce, il tuo lavoro non si conosce e non si sa quale sia?
P:B: Certo, forse dovrei fare qualche mostra in più, ma io non sono il tipo d’artista che si sbatte a destra a sinistra e in ogni dove, alla spasmodica ricerca di una particina in qualche esposizione, e tanto meno aderisco a quelle formule per mostre personali o collettive dove, anche da gallerie insospettabili, viene chiesto all’artista l’immancabile contributo alle spese. Detto questo, a chi dice che non conosce il mio lavoro, rispondo che è poco informato, o che desidera essere poco informato, non tanto perché io sia famoso, ma perché su Internet si possono trovare molte informazioni riguardanti quello che ho fatto: per esempio sul mio sito, dove ci sono info, foto e tre progetti di WEBArt, o sul mio blog, “Il Situazionauta”, dove c'è una sezione che riporta e spiega più di trenta miei progetti. http://pinoboresta.blogspot.it/2007_10_01_archive.html


L:R: Si! Ho visto da qualche parte tutta una serie di nomi in colonna, cosa sono?
P:B: Se ti fossi preso la briga di leggere, avresti capito che era un’operazione artistica: il progetto consisteva in una petizione per essere invitato alla Biennale di Venezia. http://pinoboresta.blogspot.it/2008/10/firma-boresta.html


L:R: Si! Ricordo quando andavi in giro alle fiere a raccogliere le firme...
P:B: Tu hai firmato?





L:R: Forse sì, forse no, chissà... Com’è finita poi la storia?
P:B: È finita che hanno aderito alla petizione circa mille persone (997 per la precisione). Tutte le firme, insieme a una vasta documentazione, sono state spedite in Germania a Daniel Birnbaum, che era il direttore della 53° edizione della Biennale di Venezia.


L:R: E come mai non ti ha invitato?
P:B: Potrei risponderti come nel box pubblicitario uscito su Juliet nel 2014: “Birnbaum perché non mi hai Invitato? Pane e vin non ti mancava. L’insalata era nell’orto. E un artista avevi in più”. Mah! Che dirti? Io so di certo che ha ricevuto il pacco, ed era quanto meno curioso di conoscermi, e forse di invitarmi, ma nulla di ciò è avvenuto e tu sai meglio di me come vanno queste cose.


L:R: Io ero presente quando hai urlato in faccia a Massimiliano Gioni, e devo dirti la verità, mi sono un po’ vergognato per te, cosa pensi di ottenere facendo queste azioni? https://www.youtube.com/watch?v=gDxYnZFyx_0
P:B: Se tu non hai il coraggio di fare certe cose, e questo è palese visto che continui a nasconderti dietro uno pseudonimo, non è detto che altri non possano averlo. Ma non ti biasimo, ognuno è fatto a modo suo e tu avrai le tue buone ragioni se continui nel tuo ostinato anonimato. Io ho iniziato a fare questa serie di interventi, che ho chiamato “ArtBlitz”, per protestare contro le storture del sistema dell’arte; è una forma di reazione nata istintivamente e trasformatasi quasi immediatamente in un’operazione artistica meditata e ben ponderata. Ho capito subito che quella era una nuova forma d’arte a me congeniale, con la quale potevo esprimere, comunicare, raccontare, tutto quello che ho dentro e che ha urgenza di uscire per essere condiviso con voi.
http://pinoboresta.blogspot.it/2012_02_01_archive.html
http://pinoboresta.blogspot.it/2016_06_01_archive.html





L:R: Ora è un bel po’ che non fai più queste tue performance, come le hai chiamate, ArtBlitz? Hai forse chiuso con queste azioni?
P:B: Questo lo scoprirai solo vivendo.


L:R: Tu fai questo perché hai in odio il sistema dell’arte e tutti coloro che lo rappresentano?
P:B: Io non odio nessuno, io non odio il sistema dell’arte, né tanto meno, odio Massimiliano Gioni, verso il quale non ho niente di personale. L’ArtBlitz è il frutto maturo della mia frustrazione artistica, che dipinge e mostra a tutti il malcontento esistenziale presente in me e in ognuno di noi, quell’inquietudine che a un certo punto esplode e diventa qualcosa di bello, anche se non tutti, forse, la vedono così, ma non è successo già altre volte che qualcuno non abbia saputo riconoscere il bello lì dove si trovava?


L:R: Allora tu ami il sistema dell’arte e tutti coloro che ne fanno parte?
P:B: Io amo l’arte, vivo per l’arte e, come tutti quelli che credono fortemente in qualcosa, sto male quando vedo o mi accorgo di ingiustizie e di storture all’interno di questo sistema. Io odio il sistema dell’arte quando sbaglia, quando è corrotto, lo odio quando è cieco, sordo, muto; io odio il sistema dell’arte quando dimostra di non saper amare e si nutre di quello per il quale è nato ed esiste. Io odio il sistema dell’arte quando il sistema cade nelle mani sbagliate, e questo, ahimè, succede spesso, troppo spesso. Dice una canzone “…tu parli da uomo ferito…”. Si! È vero io sono ferito e vengo ferito ogni giorno, ma non venite a dirmi che non devo lamentarmi, questa soddisfazione da me non l’avrete mai, perché io amo quello che faccio e lo faccio con amore. Io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte funziona bene, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte è giusto, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte è onesto, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte premia chi lo merita. Ma non potete chiedermi di far finta di niente quando il sistema dell’arte agisce in maniera malata, come il nostro sistema politico, come il nostro sistema finanziario, come il nostro sistema istituzionale. Io, non solo devo avere la libertà di segnalarlo, ma il dovere di denunciarlo e, se per fare questo il prezzo da pagare è il disprezzo da parte di coloro che di queste storture sono i responsabili, i beneficiari e i complici, me ne frego e vado avanti orgoglioso di quei pochi, ma buoni, che dentro e fuori il sistema dell’arte mi apprezzano, accontentandomi della loro pacca sulla spalla, anche se potrebbero fare qualcosa di più. Del resto, nella vita ognuno fa quello che ha il coraggio e la forza di fare, e ormai non biasimo più nessuno per quello che non ha fatto ma che poteva fare. Ormai credo di aver imparato a riconoscere quando una persona è sincera, onesta e corretta nei miei confronti, e se il prezzo pagato per aver imparato è stato alto, se le rate da liquidare prima di estinguere questo mutuo con la vita sono ancora molte, comunque sono sicuro che alla fine ne sarà valsa la pena.





L:R: Allora “odi et amo" come ribadisci in questa tua nuova filippica?
P:B: Io ho spesso difeso con i miei articoli questo bistrattato mondo dell’arte contemporanea, e per questo vengo descritto come l’utile idiota, che difende il sistema che l’ha sempre rifiutato, a volte anche vantandosene. Angela Vettese una volta ha cercato di spiegarmelo dicendomi: “…che ti aspetti? Tu combatti il sistema, e il sistema ti rifiuta…”. Allora, il mio pensiero non va a me stesso ma a chi, pur meritandolo, non trova spazio lì dove ha investito tutta la sua vita, perché non posso e non voglio credere che per essere accettati ci si debba comportare come abili lacchè.


L:R: E allora perché continui, giacché hai trovato pure chi ha provato a darti qualche consiglio?
P:B: Continuo perché gli artisti che sono più astuti di me, e che riescono a imporsi per vie diplomatiche, non hanno un lavoro migliore del mio. Continuo perché credo nel mio lavoro e, non essendo particolarmente abile nelle PR sottotraccia, né tanto meno in quelle alla luce del sole, ho deciso di sperimentare, forse sbagliando, altre strade.


L:R: Se pensi di aver sbagliato non sei stato molto furbo, potevi pensarci prima.
P:B: Attenzione, ho detto “forse, sbagliando”, ma forse no. Del resto, se mi fossi comportato diversamente avrei avuto più successo? Ci ho riflettuto e comincio a dubitarne fortemente, visto la fine che hanno fatto molti degli artisti che hanno cominciato con me, ma anche quelli che hanno cominciato dopo di me e che, inizialmente, per alcuni anni, sembrava dovessero raggiungere le più alte vette della notorietà. Insomma, sì! È vero, io forse sono uno sfigato come pensa qualcuno, ma non smetterò di far valere le mie ragioni. Continuerò a fare la mia onesta battaglia (contro gli altri e contro me stesso) come hanno fatto in passato tanti altri artisti. E se a volte ho dovuto fare qualcosa sopra le righe o al di là dell’etichette per farmi sentire, l’ho fatto, tutto qui.





L:R: Qualcuno ha ravvisato in queste tue azioni clandestine una certa vicinanza con il teatro, non hai mai pensato di sfruttare questa tua naturale predisposizione per fare l’attore?
P:B: No! È capitato che alcuni amici mi esortassero a frequentare corsi di recitazione, ma io ho troppo rispetto per l’arte altrui e non è sufficiente avere una semplice predisposizione per intraprendere una forma d’arte complessa e importante come quella dell’attore. Fare l’attore richiede un impegno costante e una disciplina rigorosa se vuoi ottenere buoni risultati, ed io sono fuori tempo massimo per tutto questo. Non si può fare tutto se si vuole fare bene. E poi, io non conosco il metodo Stanislavskij, anche se Russell Crowe ha detto che non serve.


L:R: Ti sei pentito di qualcosa che hai fatto nel mondo dell’arte? E se tornassi indietro, rifaresti tutto quello che hai fatto?
P:B: C’è sempre qualcosa di cui pentirsi nella propria vita professionale. Una volta gli artisti, consapevoli del proprio narcisismo, dovevano rivaleggiare e guardarsi solo dai propri simili in virtù dell'innata concorrenza che sorge tra esseri umani che praticano la stessa disciplina. Ora sono parecchi anni che si deve fare i conti anche con i curatori, i critici, i galleristi, i collezionisti e tutti quelli che una volta erano i più fidati alleati degli artisti. Ora anche loro, sono in preda a questa sfrenata smania di protagonismo che in questa società dello spettacolo ha contagiato ormai tutti. Insomma, è sempre più ampia la platea di concorrenti con la quale l'artista si deve confrontare ogni giorno, è così che spesso soccombe o viene messo in secondo piano o, in alcuni casi, è lui stesso che si defila e si tira fuori. Perciò, tenendo conto di questo per rispondere alla tua domanda ti dico che; tornando indietro, si potrebbe essere tentati di calibrare la propria esistenza diversamente ma, allo stesso tempo, si correrebbe il rischio di commettere errori, forse più grossi; quindi, in definitiva meglio tenersi stretto quello che si è raggiunto con fatica e dolore e andare avanti finché la morte non ci separi dalla vita.





L:R: Ho visto quel video, dove hai fatto arrabbiare molti galleristi con le tue dichiarazioni. In pratica sostieni che loro direbbero un sacco di frottole pur di vendere le opere dei loro artisti. Perché lo fai? Perché ti piace tanto farti odiare? Lo fai per catturare la loro attenzione? Lo fai per avere un pretesto per poi lamentarti? Lo sai che così facendo nessuno t’inviterà mai a partecipare alle loro mostre?
P:B: E no! Caro Luca, non mi aspettavo questa domanda proprio da te, anche perché tu sai bene (ed io ho incominciato prima di te) che ci deve pur essere qualcuno che dica e racconti come stanno realmente le cose. Qualcuno che abbia il coraggio di dire quello che veramente pensa, questo è un requisito sempre più raro tra gli artisti. Ci sono troppi silenzi sopravvalutati nel mondo dell’arte.


L:R: Visitando il tuo Diario di Facebook ho notato che sei piuttosto apprezzato dagli street artisti, perché non ti dedichi di più a loro?
P:B: Non devi certo dirmi tu cosa devo fare. Chi ti dice che non curi le mie relazioni lì dove buona parte della mia ricerca artistica ha sperimentato il suo fare? Quando la Street Art non era ancora una moda
http://www.pinoboresta.com/no_logo/no_logo.htm




L:R: Volevo solo dire che ho avuto modo di constatare che sei in qualche modo stimato da questa categoria di artisti.
P:B: Sì lo so, e anche io ammiro loro. Quando ho iniziato io, circa trent'anni fa non esistevano ancora nelle città questi enormi murales, alcuni molto belli, tutto era fatto abusivamente e illegalmente e se ti beccavano erano cacchi tuoi. Spesso molti writers hanno pagato cara questa clandestinità. A me è successo due o tre volte di essere stato pizzicato dalle cosiddette forze dell’ordine mentre attaccavo i miei adesivi, e quando mi hanno chiesto cosa fosse ciò che attaccavo, ho risposto loro esattamente come rispondo ai passanti quando mi scorgono in azione: “Pubblicità! Sono adesivi pubblicitari”. Questo è quello che dico e, se mi domandano "pubblicità di cosa?", ogni volta invento una storia diversa: di una libreria, di lezioni di yoga, di una marca di abbigliamento, di una marca di liquore oppure di una ditta di caramelle. È successo poi, con mio grande stupore, che quest’ultima storia poi si sia realmente avverata. Per un periodo, infatti, una marca di caramelle ha pubblicizzato il suo prodotto con il viso di un uomo che mi somigliava mentre fa una smorfia simile alle mie. Alcuni miei amici sostenevano che avrei dovuto fargli causa per plagio. Figurati se io, che operavo illegalmente, avrei mai potuto fare causa a una ditta che promuoveva legalmente i suoi prodotti, me ne sono guardato bene.


L:R: Ma ti sei informato forse avresti potuto fare qualcosa?
P:B: Sono più di 25 anni che subisco tentativi di imitazione, le prime volte la cosa mi faceva incazzare, ma poi, osservando gli scarsi vantaggi che ne traevano gli imitatori, ho smesso di curarmene. Ho ben presto constatato che il tentativo di plagio non mi cagionava nessun danno d’immagine, ma rendeva, anzi, più forte e valido il mio lavoro. Vi è però un clamoroso tentativo d’imitazione che ho scoperto casualmente durante un viaggio di piacere in Olanda, a Maastricht, dove ho trovato degli stickers che non solo erano copiati dai miei, ma ricalcavano pari pari le mie tipiche smorfie, proprio quelle da me utilizzate. In un primo momento devo confessare che mi sono molto irritato ma poi è diventata una sorta di divertente caccia al tesoro per scovarli e fotografarli.


L:R: Però in molti non ti considerano uno street artista puro.
P:B: Ma chi è lo street artista puro? Com’è fatto lo street artista puro? Non esiste uno street artista più autentico di un altro, esiste la Street Art ed esistono degli artisti che la fanno, punto.


L:R: Qual è stato il tuo primo lavoro di Street Art, e com’è nato?
P:B: Questo non te lo dico lo leggerai un giorno da qualche parte quando avrò voglia di raccontare tanti piccoli interessanti particolari e curiosità. Ma ti posso dire quale mio lavoro di Street Art spaventa più di ogni altro gli addetti ai lavori.





L:R: E quale sarebbe?
P:B: Ogni volta che ho proposto il mio progetto M.E.R.D.A. a dei galleristi o ad altri addetti ai lavori sono sempre scappati a gambe levate, per poi lamentarsi che la politica sta distruggendo questo paese. Ma di che stiamo parlando? Questi sarebbero i nostri promotori culturali? Perché nessuno ha il coraggio di sostenere una vera critica sociale nei confronti dei poteri forti?


L:R: Non lo so dimmelo tu.
P:B: No! Te lo faccio spiegare da Andrea Bruciati, che così ha risposto a Luciano Marucci in un'intervista, perché meglio io non lo potrei fare:
D: Il potere politico fa sentire il suo peso?
R: In Italia è un dato naturale perché si vive in una sorta di perenne campagna elettorale in cui la bilancia pende dalla parte di chi aiuta ad attrarre voti, ad aver consenso. E l'arte contemporanea, per sua stessa definizione, non dovrebbe perseguire il consenso. Interpreta criticamente la realtà, quindi diventa scomoda. In una tale situazione mi chiedo quanti siano i partiti o gli esponenti politici che vogliono investire su qualcosa che, invece di essere addensante di voti, mina all'interno le certezze dell'elettore. Perciò viene evitata. Invece si deve capire che l'arte contemporanea di per sé è una specie di meccanismo sano della democrazia, di critica interna al sistema. Quando un politico capirà questo, ci sarà un reale investimento nei confronti della cultura e non solo occasionale. Al contrario, se viene vista come una specie di vetrina per attrarre gli elettori, sicuramente non si investirà in essa se non in modo sporadico.





L:R: Ma cos’è il progetto M.E.R.D.A.?
P:B: Come ho già spiegato da qualche parte, il progetto M.E.R.D.A. ossia (Manifesti Elettorali Rettificati Da Asporto) è la versione espositiva del mio intervento urbano, denominato M.E.R. - Manifesti Elettorali Rettificati, che eseguo sui manifesti elettorali fin dal 1996. Il progetto M.E.R. è una derivazione del progetto D.U.R. (Documenti Urbani Rettificati), iniziato qualche anno prima, dove a essere modificati con le facce sono: manifesti, volantini, locandine, multe, avvisi, pieghevoli, ecc. Tutto viene poi lasciato sul posto per detournare il passante (solo alcuni documenti vengono a volte prelevati a documentazione dell'evento). Il progetto M.E.R. è stato particolarmente notato quando l’ho realizzato a Venezia nel 1999 durante la biennale, quando sono intervenuto sul faccione di un politico rettificando gli occhiali di un allora ex sottosegretario ai beni culturali. A ogni campagna elettorale compio questo tipo d'intervento urbano, non solo a Roma. Ti racconto un fatto: Un giorno, andando a un’inaugurazione, passai davanti a una nota galleria dove incontrai sull’uscio a rimirar tra le rossastre nubi non il Carducci ma il gallerista che parlava con un noto artista. Avevo sotto il braccio, un paio di manifesti elettorali che avevo appena strappato dal muro per portarmeli a studio, e poiché avevo con lui una certa confidenza, gli ho proposto di comprarseli (chiaramente rettificati in MER), ma lui ha cordialmente rifiutato la proposta nonostante il prezzo stracciato che gli facevo. Ora questa galleria ha chiuso, ma la cosa divertente di tutta la faccenda è che poi, sempre lo stesso giorno, vi è stato chi, più lungimirante del gallerista, quei due MER se lì è comprati. Infatti, appena entrato dove si teneva il vernissage, incontro un noto critico che parlava con il direttore di uno di questi premi... beh, insomma, per fartela breve, dopo aver scambiato qualche parola il curatore dice “Ma lo sai chi è lui? Dai, tira fuori una tua faccia”. Io invece ho aperto uno dei manifesti che avevo e l'ho rettificato lì per lì, creando una festosa azione estemporanea, una sorta di performance non prevista nella galleria dove si stava svolgendo la mostra di altri artisti. Invece di cacciarmi via a pedate, tutti (gallerista, curatrici, organizzatori e artisti compresi) si sono avvicinati facendo domande e scattando foto, poi il critico, mio amico, ha voluto pagarmi il MER anche se io in realtà volevo donarglielo (in passato mi aveva invitato a importanti mostre) e allora l'ho firmato. Poi anche il direttore ne ha voluto comprare uno, allora siamo andati sul pianerottolo all'entrata della galleria e lì ho performato, creato e incassato. Sono piccole soddisfazioni lo so, ma sono quelle che mi hanno dato la forza per continuare in questo sporco lavoro, che qualcuno dovrà pur fare, e che io amo troppo per lasciare che lo faccia qualcun altro.


L:R: E quegli adesivi con la scritta intorno alla tua faccia cosa sono?
P:B: Anche questo l’ho già spiegato più volte, sono la versione interattiva degli sticker del progetto C.U.S. – Cerca ed Usa la Smorfia e sono composte da una foto-smorfia circondata dalla seguente dicitura: “Contribuite a contaminare la città con una vostra opinione sul fenomeno ‘Pubblicità’ oppure scrivete ciò che volete.”. Realizzati in diversi formati, questi adesivi si possono tuttora trovare attaccati qua e là per le città, ma a differenza dei numerosi tentativi di imitazione subiti nel corso degli anni dalle grosse facce ovali, queste nessuno ha mai pensato di imitarli, chissà perché?





L:R: Forse perché in genere a nessuno piace fare domande sapendo che non saprai mai la risposta?
P:B: Quando ho ideato quest'adesivo non era mia intenzione recuperarli.
Ma poi ho cominciato con quelli dove trovavo delle scritte e che era possibile tirare via sostituendoli con degli stickers vergini. In seguito ho iniziato a recuperare anche quelli solo con la faccia (gli adesivi ovali) deturpati dal tempo.


L:R: Così fai l’occhiolino al mercato dell’arte, recuperi, confezioni e poi vendi?
P:B: Io non faccio l’occhiolino a nessuno, io faccio il mio mestiere d’artista e come tale mi preoccupo che il mio lavoro venga in qualche modo valorizzato e conservato. Se poi ci scappa qualcosa per comprarsi un panino con la mortadella non vedo cosa ci sia di male, dai miei studi mi risulta che anche Michelangelo Buonarroti si concedesse qualche buon pasto e non solo, e dalle parti mie ci sono anche cinque bocche da sfamare.


L:R: Questo per ciò che concerne la Sticker Art, ma parlando di Street Art, fatta con Graffiti e Murales, cosa pensi di questa storia di Blu che a Bologna ha deciso di cancellare tutti i suoi pezzi?
P:B: Come ho già commentato da qualche parte, penso che ne avesse tutto il diritto. In questo paese bisogna smetterla con tutta questa gente che specula e vuole guadagnare con la fatica, il sudore e il culo degli altri, ci vuole più “Onestà! Onestà! Onestà!”, e non solo onestà istituzionale, ma anche e soprattutto onestà intellettuale.





L:R: Tu hai mai fatto un Murales o un Graffito?
P:B: No!


L:R: Perché?
P:B: Perché bisogna seguire e tenere conto delle predisposizioni soggettive adottando la pratica artistica più confacente alle personali disponibilità economiche, nonché alle capacità e abilità che si possiede. Ma soprattutto bisogna seguire le proprie attitudini e il proprio intuito, perché l’intuito è indispensabile e fondamentale ai fini di una buona riuscita di ciò che s’intraprende, come ha teorizzato e spiegato il filosofo Henri Bergson.


L:R: In sostanza non ne saresti capace.
P:B: Esatto! Se vuoi puoi pensarla così. In realtà ero un pittore niente male (e forse lo sono ancora, ma qui lascio larga sentenza ai posteri) e sarei potuto diventare ancora più bravo ma a che pro? In un mondo dove i pittori eccellenti sono già tantissimi? Ho capito ben presto che la mia missione nell’arte era un'altra, e non s’incentrava sulla pittura, che comunque non ho mai abbandonato del tutto e che anzi fa spesso capolino nella mia produzione.


L:R: Qualcuno pensa che tutti gli artisti di strada siano dei vandali, tu cosa rispondi?
P:B: È vero siamo dei sovversivi, dei ribelli, dei contestatori, dei rivoluzionari, degli agitatori, degli innovatori, dei promotori, degli oppositori, degli antagonisti, dei partigiani, dei vandali che a volte fanno delle magie, ma non siamo dei terroristi.


L:R: Si dice che ognuno di noi ha necessità di sentirsi parte di un progetto più grande, qual è il tuo?
P:B: Non lo so. Non so se esiste un grande progetto che contenga anche quello mio, che comprenda anche quello che faccio io. Non so se quello che tu dici sia vero, in sostanza non so nulla, forse a questa domanda non so risponderti, ma io credo che si possa vivere anche senza necessariamente sposare o appiattirsi su grandi ideali, specialmente se questi ideali sono costruiti da altri. Del resto, non è quello che facciamo giorno dopo giorno? Andiamo avanti o andiamo indietro senza nessuna certezza. Però alla fine si finisce sempre per credere in qualche cosa, ma in qualcosa che hai creato dentro di te. Ma pure questo potrebbe essere sbagliato. In sostanza credo di poter dire che gli artisti di strada vogliono solo avere la possibilità di esprimersi, di dire e fare quello che gli passa per la testa. Rita Pavone diceva “datemi un martello, lo voglio dare in testa a chi non mi va” noi diciamo “datemi un muro lo voglio far vedere a chi dico io”. E la finisco qui, perché, per uno che inizialmente non sapeva cosa rispondere, mi pare di aver detto anche qualche stronzata di troppo.






L:R: Che cosa pensi di Luca Rossi?
P:B: Trovo interessante quello che dici e importante quello che scrivi e sono totalmente d’accordo con quello che sostiene Fabio Cavallucci su di te. Se tu non fossi esistito il panorama dell’arte italiana (e forse non solo italiana) sarebbe stato sicuramente più povero, meno appassionante e sicuramente meno divertente.


L:R: Divertente? Trovi che sia comico? Non ci trovo niente di umoristico in quello che faccio, la mia è una critica aperta al sistema dell’arte.
P:B: Divertente è stato da me usato in accezione positiva. Quello che voglio dire è che la tua vera forza sta in quello che dici e come lo fai, è questo il tuo vero lavoro, e non penso dovrebbe essere diversamente. Tu! Tu sei il vero lavoro, tu in quanto “Luca Rossi” in quanto “te stesso”, in quanto esistenza anomala e spina nel fianco nel sistema dell’arte, ed è in questo senso e su questo piano che dovresti secondo me continuare a lavorare.





L:R: Che cosa pensi del mio lavoro “My Duchamp”? Ti fa ridere?
https://myduchamp.com/
P:B: No! Lo trovo un po’ deboluccio, come lo è stato “Talent Show”, finito in nulla di fatto. E come tu ben sai io ci sono rimasto molto male, perché ero sicuro di vincere.
http://tuttomostre.blogspot.it/2016/02/quella-volta-che-in-testa-cero-io.html


L:R: Che fai sfotti?
P:B: No! Qualcuno dice invece che ho messo una pezza lì dove il tuo progetto è fallito. E comunque è vero quando dici che la tua è una critica aperta al sistema, e se il tuo intento è di smascherare il marcio del sistema dell’arte contemporanea con l’arte stessa, trovo tutto questo molto coraggioso. Ma i tuoi lavori sono spesso chiusi in sé stessi, poco efficaci e di debole impatto. Come ti ho detto, secondo me, dovresti lavorare su altri registri. Ho l’impressione che nei tuoi lavori ci siano delle forzature dovute al fatto che tenti ogni volta di farti accettare come artista. Non è necessario che tu debba per forza di cosa realizzare delle opere d’arte per dimostrare quello che teorizzi e dici, fare questo conferisce, secondo me, debolezza a tutto il tuo progetto totale che è ben più importante. Non aver paura di non esistere, questa è la tua forza, tu sei più di un artista e se vuoi essere vincente devi superare il concetto di opera concreta, addirittura di opera in quanto tale. Del resto, stiamo andando o no sempre più verso la sparizione dell’opera materiale? Avrei tanti esempi da farti, ma li conosci bene anche tu, e tu che hai già il vantaggio di non esistere come entità concreta che bisogno hai d’esistere per mezzo di un’opera materiale? Lascia che di te rimanga solo l’idea, solo così potrai conquistarti l’immortalità che meriti.
 




L:R: Continui a sfottere, ma potresti aver ragione, per cui evito di risponderti a tono come hai fatto tu, dicendoti che non devi certo dirmi tu cosa devo o dovrei fare. Anche perché il mio lavoro ha bisogno di tutti, anche di te, e tutti hanno bisogno del mio lavoro.
P:B: Suscettibile e permaloso eeh? Lo sono anch’io, non saremo mica la stessa persona?


L:R: Qualcuno lo pensa, tu come rispondi quando te lo chiedono?
P:B: Rispondo che sì, è vero, io sono Luca Rossi, ma il L.R. che ci ha messo la faccia, la sua faccia fin dall’inizio. Ma il tuo lavoro è un’operazione diversa e ha una storia diversa, per questo, forse, è giusto che tu rimanga nell’anonimato, altrimenti saresti un doppione del “Boresta Parlante”, anche se ti senti più importante di lui e probabilmente lo sei. È quello che volevi sentirti dire?


L:R: No!
P:B: Allora qual è il problema, perché sei così curioso di sapere cosa rispondo a chi mi chiede se sono te? Forse a te dispiace?


L:R: No! La mia opera è anche questa.
P:B: Concordo in pieno.






Intervista pubblicata per la prima volta il 7 giugno 2016 qui:
http://www.cagliariartmagazine.it/una-lunga-intervista-di-luca-rossi-a-pino-boresta/


Intervista pubblicata per la seconda volta il 9 settembre 2016 qui:
https://tuttomostre.blogspot.com/2016/09/perche-fai-lartista-ecco-cosa-risponde.html

Intervista pubblicata per la terza volta il 28 dicembre 2016 qui:
http://pinoboresta.ilcannocchiale.it/post/2853125.html


In foto: smorfia deteriorata recuperata, io durante una performance di volantinaggio ad ArteFiera a Bologna nel 2009, io che urlo durante il mio ArtBlitz a Faenza nel 2009 al "Festival arte contemporanea", io durante la performance alla fiera di ArtO' a Roma nel 2009, segnaletica stradale rettificata a Bologna, MER Manifesto Elettorale Rettificato, io mentre attacco adesivi al MAAM di Roma, io durante un azione con su manifesti elettorali, Manifesto Elettorale Rettificato, adesivi del progetto CUS Cerca ed Usa la Smorfia con su degli interventi, due smorfie deteriorate recuperate, passante in azione su uno dei adesivi interattivi, recupero di un etichetta adesiva con su un intervento scritto, Smorfia Manipolata su cartoncino, Manifesto Elettorale Rettificato.


Claudia Colasanti



Il Fatto Quotidiano venerdì 12 maggio 2017

Intervista di Claudia Colasanti a Pino Boresta

“Io eterno escluso insegno per strada cosa sia l’arte”

Sulla Biennale ne sa una più del diavolo: è Pino Boresta, romano, 55 anni, da 30 indomito provocatore urbano e situazionista, talvolta simpaticamente molesto. Tutte quelle smorfie appiccicate sui pali e sui cartelli stradali di Roma (e non solo, basta arrivare ad un appuntamento artistico, che sia Kassel o Zurigo) portano le sue espressioni facciali. Allegre, incazzate, irreverenti, smaniose. Non si ferma mai, è logorroico, ma non entra nei circuiti ufficiali nemmeno quando sarebbe più che lecito.

Così è stato anche per anni anche il suo tentativo di partecipare alla Biennale veneziana. Una delle sue opere più celebri, 2013, si intitolava proprio: Perché NON ME alla Biennale di Venezia?”.

La domanda all’allora direttore artistico Massimiliano Gioni, urlando durante la conferenza stampa ufficiale. Mentre il presidente Paolo Baratta pensava si trattasse di una performance ideata dallo stesso Gioni, fu portato fuori dall’incontro a forza. Ha appena attraversato un momento economico particolarmente difficile, ma è – ovviamente – qui a Venezia, all’insegna dell’impossibilità dell’arresa.

Claudia Colasanti: Boresta, perché è qui quest’anno? L’hanno invitata finalmente?

Pino Boresta: Sono qui proprio perché come sempre, non sono stato invitato. Nonostante le mie difficoltà devo dimostrare che ancora una volta “Io vivrò”, nonostante la resistenza di tutti.

 


C.C: Di recente però ha avuto una dimostrazione di affetto e generosità da parte anche dall’ambiente artistico. Il suo crowdfunding per evitare lo sfratto suo e della sua famiglia ha raggiunto gran parte dell’obiettivo. È più stupito o contento?

P.B: Mi sono emozionato, forse non me lo aspettavo. Molte persone, anche insospettabili, mi hanno dimostrato la loro stima in questo modo laterale. Da un bisogno è nato anche uno scambio per me sostanziale: a tutti loro ho donato un’opera come le storiche “Smorfie Texture” e gli ormai introvabili adesivi delle smorfie urbane. Forse la mia arte trentennale ha trovato un altro modo di essere percepita, oltre le rassegne internazionali a cui non ho mai avuto accesso.

 

C.C: Sta visitando la Biennale durante l’ambita vernice dei tre giorni ‘vips’. Cosa ne pensa? Vede un cambiamento nelle ultime edizioni?

P.B: Sostanzialmente no, c’è un’altra volta di tutto per tutti i gusti. La crescita delle azioni performative ne è un esempio. Ora è una performance continua, e mi vien da ridere, perché le proponevo già più di venti anni fa, compresi gli ArtBlitz clandestini, che di tanto in tanto, quando meno ve lo aspettate, rifarò. Contro (o a favore, chissà) il sistema dell’arte che, pur essendosi privatamente ammorbidito, rappresenta sempre una belva in agguato, un ostacolo insormontabile.

 


C.C: Contro o a suo favore? Vuole ancora partecipare? Magari alla Biennale del 2019?

P.B: È un punto cruciale, poiché le mie azioni, che appaiono contro, non fanno altro che promuoverlo ed appoggiarlo. La gente che mi vede in strada (compresi gli interventi di Street Art) apprende proprio da me il perenne escluso, cosa sia l’arte contemporanea. Prima o poi un Direttore Artistico lo capirà.


In foto: io in una foto, l'articolo uscito sul Fatto Quotidiano nel 2017, una mia opera della serie "Smorfia Texture" del 1995.

Simona Pandolfi

 

Intervista di Silvia Pandolfi a Pino Boresta

UNA CHIACCHIERA CON PINO BORESTA TRA STICKER ART, "ARTISTI FUNGO" E METODI PER NON ARRENDERSI ALLE DIFFICOLTÀ L'APPELLO DELL'ARTISTA PER EVITARE LO SFRATTO È IN SCADENZA. 




Roma Italia Lab aveva già seguito le ultime vicende di Pino Boresta, artista romano che per far fronte a una complicata situazione economica, aveva deciso di trovare rifugio ancora una volta nella sua arte, lanciando la campagna di raccolta fondi SOS-Sfratto (../../../../../artefotografia/sos-sfratto-pino-boresta-cerca-rifugio-nellarte/).

A pochi giorni dalla scadenza del suo appello, abbiamo incontrato Pino Boresta per approfondire alcuni temi del suo percorso artistico e per spiegare meglio ai nostri lettori le motivazioni che hanno spinto l'artista a chiedere aiuto a noi tutti.

Cosa è cambiato a Roma dagli anni Novanta, quando hai iniziato a tappezzare la città con il tuo ormai famoso “volto deformato”?

«Non direi che sia cambiato esattamente qualcosa ma piuttosto che prima non esisteva e dopo ha cominciato ad esistere. Voglio dire che la Sticker Art non esisteva o se qualcosa vi era non veniva considerata una forma d'arte, e se oggi, invece, viene considerata tale il merito di tutto questo non è certo mio, io sono stato solo uno dei primi a capirne il valore comunicativo. Il vero merito dell’esplosione del fenomeno degli stickers è di tutti gli Sticker Artisti sia di quelli dei primi anni del XXI secolo, ma soprattutto di tutti quelli dal 2008 in poi e del lavoro enorme che hanno fatto, della passione travolgente che hanno messo in tutto quello che facevano e in tutto quello che ancora oggi fanno. Credo che sia questo il motivo del successo che sta ottenendo la Street Art, sì! La passione, i contenuti sociali forti che questa include molto più della così detta Arte Alta, ma il tutto fatto con una vera gioia di vivere, e una leggerezza che spesso manca nelle mostre fatte nelle gallerie, dove se il curatore non è intelligente e arguto tutto rischia di diventare stantio, sorpassato, demodé. Per questo apprezzo molto il lavoro che sta facendo la nuova direttrice della Galleria nazionale d'arte moderna (../../../../../fuori-tema/il-nuovo-allestimento-dellagnam-secondo-jolanda-nigro-covre/) Cristiana Collu, che logicamente come succede ogni volta che qualcuno cerca di fare qualcosa di innovativo, che spinga il pensiero dello spettatore verso nuove riflessioni, viene immediatamente criticato/a. Io è da molto tempo che sostengo questo tipo di tesi che la Collu sta finalmente mettendo in atto concretamente. Nel 2011 durante l’occupazione del Teatro Valle da parte di un collettivo ho fatto una performance (quelle che io chiamo ArtBlitz, che sono in genere azioni abusive, ma quella volta eseguita in forma semi-clandestina) dal titolo "C’è troppo silenzio nei musei". Anche questa è stata criticata fortemente proprio da quegli artisti ufficiali che si sentivano, e si sentono, già canonizzati dall’art system. Questa qui sopra è una pomposa e propagandistica possibile risposta, ma più realisticamente si potrebbe dire che in realtà la Sticker Art esiste da un sacco di tempo e uno dei primi ad accorgersene è stato sicuramente Guglielmo Achille Cavellini, ma anche un artista come Piermario Ciani ancora oggi non apprezzato come dovrebbe (purtroppo entrambi morti), e sono solo i primi due che mi vengono in mente e chi sa quanti altri se ne potrebbero scoprire facendo una ricerca».

Ultimamente è stato sottolineato che la tua ricerca artistica all'interno del tessuto urbano ha in qualche modo anticipato la diffusione della street art a Roma, fenomeno artistico ormai esploso nei vari quartieri della capitale attraverso l'intervento di artisti italiani e internazionali e la realizzazione di progetti ad hoc. Ti sei sentito “abbandonato” dalla critica in questi ultimi anni?

 «Io abbandonato? No! No, perché non ho mai fatto troppo affidamento sull’aiuto degli altri per promuovere il mio lavoro d’artista, questo è un aspetto del mondo dell’arte che ho capito abbastanza presto, perché se non ti muovi tu, nessuno ti viene a cercare a casa o allo studio, a meno che non sei il figlio di papà protetto e sostenuto dai soli noti. Ma non considerato, sì! Questo sì! Mi sono sempre sentito molto poco considerato e forse solo ora qualcuno incomincia ad accorgersi di me dopo un lavoro trentennale. Sono sempre rimasto affascinato dal fenomeno degli “artisti fungo”, nel senso che escono fuori così dall’oggi al domani e lanciati nel gotha del mondo dell’arte come nuovi Messia senza riuscire mai a capire da dove siano spuntati. Ma dove erano solo qualche mese prima?».


















Le Smorfie sono tra le opere che maggiormente hanno caratterizzato il tuo lavoro. Dove trova origine questa idea della “smorfia nell'arte”?

 «Le Smorfie sono del 1987, foto-ritratti scattati nella mia casa materna, al ritorno dal mio secondo soggiorno a Londra di circa un anno, da colei che poi diverrà mia moglie e che condirà la mia vita con sale, pepe e olio. Seguirà un terzo e ultimo soggiorno sempre di circa un anno al termine del quale deciderò di stampare una serie di queste foto smorfie che regalerò ad amici e no. Nei primi anni Novanta nascono gli adesivi denominati Fotosmorfie. Sempre nei primi anni Novanta in mostre (collettive o personali) e vari eventi artistici, saranno presentati in diverse occasioni adesivi, maschere, sculture, barattoli, magliette, fanzine, istallazioni, murales, performance, azioni e video con le facce smorfie. ‘ Nell’agosto del 1995 il primo Intervento Urbano ufficiale (qualcosa avevo già fatto da solo tra il 1992/94) con le facce durante una collettiva di Interventi artistici sul territorio a Bassano in Teverina (Viterbo). In questo intervento le facce erano ancora a colori e avevo intitolato il mio intervento Cerca e trova la smorfia. Sul catalogo dell’evento una sorta d’ingenua (ma qualcuno sostiene spiritosa) dichiarazione d’intenti dal titolo Forza Smorfia, il cui riferimento politico era puramente casuale? Il testo è stato pubblicato nel 2001 anche sul libro Corpi estranei di Pablo Echaurren. Questo a grosse linee la storia del progetto CUS (Cerca ed Usa la Smorfia). Ma un giorno racconterò in dettaglio anche come mi è nata l’idea di un lavoro così, ed i suoi prodromi».



A fine febbraio hai lanciato una raccolta fondi per salvare la tua famiglia dallo sfratto imminente. Ancora una volta nella tua vita hai deciso di “trovare rifugio” nell’arte e di salvarti contando sulla validità della tua ricerca artistica. Nonostante tutto, non sono mancate le critiche a riguardo. Vuoi spiegare ai nostri lettori che SOS-Sfratto è una raccolta fondi che prevede in cambio l'invio delle tue opere ai vari benefattori?

«Sì! Sono sotto sfratto con tutta la famiglia e le sto pensando veramente tutte per risolvere questo nostro grosso problema finanziario. Ho realizzato e messo su anche un crowdfunding. Purtroppo, non sta andando benissimo e credo che non riusciremo a raggiungere il goal, e anche per questo ultimamente sono un po’ depresso e incomincio a credere che la colpa di tutto quello che ci sta succedendo sia mia, perché in un mondo dove le corporazioni, le relazioni tra le persone sono sempre più importanti, indispensabili, inevitabili, necessarie, fondamentali al punto tale che se le trascuri la fine che fai e quella mia, dovevo fare qualcosa di più, qualcosa di diverso. Eppure, io non sono quel tipo d’artista cui gli si può rimproverare di stare chiuso nello studio, fuori dal mondo. Ma allo stesso tempo non sono quello che si dice un simpaticone particolarmente abile a tessere relazioni e alleanze. E non parlo solo delle PR all’interno del mondo dell’arte ma in generale».



Ti aspettavi una maggiore partecipazione da parte del pubblico?

«Qualcuno in una chat privata mi ha fatto notare che per raggiungere l’obiettivo del crowdfunding (http://kapipal.com/projects/sos-sfratto/) che parzialmente ci aiuterebbe a superare questo forte momento di difficoltà economica, sarebbe sufficiente che meno della metà dei miei amici su Facebook mi supporti almeno con l’offerta minima: infatti, 200 (amici) x 30 (euro) uguale 6000 euro tondi, tondi. Tutti ricompensati, con le mie ambite (a detta di alcuni) smorfie adesive. Io però gli ho fatto presente che non è questo un ragionamento sostenibile, e nessuno dei miei amici di Facebook deve essere biasimato se non partecipa al crowdfunding, poiché ognuno deve fare quello che può e quello che si sente di fare relativamente alle proprie possibilità. E qualsiasi critica nei confronti anche di uno solo dei miei amici su Facebook non l’accetto e non la permetto a nessuno, in quanto, c'è chi come me ha una soglia della vergogna bassa e corazzata dalle critiche in virtù di anni e anni di continue denigrazioni alle quali non potevo e non posso sottrarmi. Poiché è così che ho deciso di affrontare la vita e le difficoltà che questa mi mette continuamente di fronte ogni giorno, e c'è chi invece reagisce in maniera diversa, ma i problemi ne ha tanti anche lui come la stragrande maggioranza della popolazione di questi tempi, specialmente se appartieni a un certo strato sociale. Inoltre, mi sono accorto parlando qui e lì che molti non sanno come funziona il crowdfunding e pensano che qualsiasi somma versata sia comunque elargita anche nel caso in cui non venga raggiunto l'obiettivo, ma sfortunatamente non è così. Se l’obiettivo non viene raggiunto tutte le somme versate vengono restituite, e nulla viene dato. Questo è un vero peccato perché questa piccola somma, anche se non avrebbe completamente risolto il nostro problema, ci avrebbe perlomeno permesso di metterci una pezza, (come si dice qua a Roma). Considera che io ritengo che il valore del quadro che andrebbe al Palazzo Collicola Arti Visive di Spoleto I don’t give up Arancio (anzi approfitto per ringraziare anche qui il bravo ed impareggiabile direttore Gianluca Marziani e tutto il CdA) abbia un valore almeno di una volta e mezza più alto del target stabilito nel crowdfunding. E il valore reale della ricompensa con le storiche Smorfie Texture del 1994/1995 è almeno il doppio. Per questo io credo di non dire un’eresia quando sostengo che sarebbe comunque un affare per qualsiasi collezionista fare una donazione, potendosi così vantare per una volta nella vita, di aver fatto anche un’opera caritatevole. C’è chi sostiene e dice “L’arte non è carità”, sì, è vero… ma se poi disgraziatamente qualcuno, specialmente uno di questi che tanto mi criticano, si azzarda a vendere sottobanco qualche mia opera ad un prezzo superiore, magari nel retro-magazzino come potrebbe essere successo in qualche fiera, non potete biasimarmi se mi viene spontaneo un “Che Dio li strafulmini!”, e non me ne vergogno di pensare così anche perché nessun artista è mai stato fatto Santo e quasi tutti sono “morti incazzati”, specialmente quelli cui non è stato riconosciuto il giusto in vita, e non sono pochi».



I social network si sono rivelati una “rete” fondamentale per diffondere il tuo appello. Amici artisti, seguaci di Facebook e followers si sono virtualmente uniti a te e ti hanno supportato anche con una semplice condivisione o like. Si parla spesso della falsità dei rapporti instaurati dietro la tastiera; in questi ultimi mesi, invece, la tua difficile condizione personale cosa ti ha insegnato di nuovo sul concetto di amicizia?

 A mio modo di vedere il significato della parola “Amico” sta assumendo una valenza diversa poiché è impensabile che si possa avere 5000/10.000 amici, o anche solo 500 amici veri (e il fatto che non ho ancora raggiunto quota 500 amici su Facebook, benché sia iscritto dal 2008, la dice lunga di come la pensi in merito), ma io non considero questo nuovo aspetto dell’amicizia riguardante i social network una deformazione dell’amicizia e non vedo tutto questo con sospetto e negatività ma anzi né apprezzo i grandi vantaggi che tutti sappiamo e che mi hanno permesso, perlomeno, di ottenere quel minimo che ho raggiunto, se non altro in termini di solidarietà, e di cui diversamente non avrei potuto godere. Ma, non sono qui per fare un trattato sull’amicizia, o come questa parola tanto importante nell’esistenza sociale di un essere umano stia modificando il suo valore, alla luce dell’avvento dei social. Né ho intenzione di vivisezionare la nuova valenza della parola “amicizia”, i suoi riferimenti di fondo e quelli nuovi che stanno nascendo, questa è materia di studio per la sociologia contemporanea e lascio che siano i sociologi a occuparsene, o gli scrittori interessati alla questione. Io non sono un sociologo, né uno scrittore ma un artista che navigando tra mille difficoltà cerca, non di farsi accettare dal mondo dell’arte, ma tenta solo di esistere e dare senso e valore alla propria presenza, qui ora, in questo palcoscenico chiamato mondo».



La tua vita è stata una continuazione fuga­rifugio nell'arte. Anche in questa difficile situazione personale ti sei aggrappato alla tua attività artistica e l'appello Sos-sfratto è stato condiviso da molti tuoi colleghi e ammiratori. 

«Sì! È vero questo è l’aspetto positivo di questo mio (nostro) grosso problema che mi ha permesso di scoprire e capire meglio molti fatti, e mi ha dato la possibilità di comprendere più adeguatamente molte persone e non solo “amici” o “conoscenti” ma anche “parenti”. Spesso, come succede nella vita, l’aiuto più grosso viene da chi non te lo aspetti, o almeno questo sembra essere, secondo molti studiosi, la percezione dei fatti da parte di chi riesce ad uscire da qualche brutta difficoltà. Io non sono uno studioso della mente umana e non so come stiano realmente le cose, ma la mia esperienza diretta mi suggerisce esattamente quello che secondo gli studiosi è solo una percezione e cioè le persone che più rimangono impresse nella mia mente sono soprattutto quelle che con il loro gesto mi hanno sorpreso e quelle che mi hanno deluso, ma io non voglio fare questo errore ed è per questo che da quel maniaco che sono (e quelli che mi conoscono lo sanno) sto annotando tutto quello che mi sta succedendo perché se un giorno potrò, e se Dio me ne darà la possibilità, voglio ringraziare tutti, e quando dico tutti intendo proprio tutti: tutti coloro che mi hanno sorpreso per la loro generosità, tutti coloro di cui avrei rischiato di dimenticarmi, come quelli dai quali un gesto di generosità me lo aspettavo, ma anche tutti quelli che mi hanno in qualche modo deluso perché è giusto che io non mi dimentichi di loro e a modo mio li ringrazi, giacché mi hanno dato modo di comprenderli come forse non sarei riuscito. Ma ci tengo a precisare che ciò non viene da me fatto in relazione ad un calcolo economico ma in virtù di un resoconto/rapporto empatico, perché a volte una parola di conforto, non potendo fare di più, diventa altrettanto importante. Anzi senza perdere tempo voglio approfittarne per ringraziare pubblicamente Claudia Colasanti e Cesare Pietroiusti (un critico e un artista che sono stati importanti anche per il mio percorso artistico) non solo per la loro generosità, ma anche per il loro supporto morale».















Qual è il messaggio che ti senti di inviare ai giovani artisti che stanno intraprendendo questa strada? 

«Molto spesso noi artisti non conosciamo l’effettivo valore di quello che facciamo fino a quando quello che facciamo non acquista un reale valore o fino a quando qualcuno non ce lo spiega e ce lo fa capire fino in fondo. Il più delle volte noi artisti agiamo d’istinto perché è l’istinto quello che ti fa agire e ti dà il “là”, quella spinta iniziale che dà il via a tutto e che ti offre l’opportunità di continuare solo se trovi dentro di te la miscela giusta e gli ingredienti necessari per andare avanti giorno dopo giorno. Certamente può capitare, e non di rado, di sentirti a secco e questo diventa un problema, ma se sai come, ma soprattutto dove fare il pieno, il problema è facilmente risolvibile, e il più delle volte non devi fare neanche tanta strada perché è proprio lì accanto a te. Ora in tutto questo la priorità assoluta è quella di risolvere questo nostro problema dello sfratto, anche se come altri, in questi tempi di crisi, ho molti problemi che non starò di certo qui a elencarteli, ma ti assicuro che a volte mi fanno venire veramente brutti pensieri. Fortunatamente il mio distributore di benzina è solo a pochi passi da me, quasi sempre sotto i miei occhi, perché i miei serbatoi dove fare il pieno d’amore sono i miei tre figli e mia moglie. Ecco, questo è quello che consiglio a tutti, e non solo ai giovani artisti: edificate i vostri serbatoi non lontano da voi perché è lì che dovete custodire la vostra miscela dell’amore cui attingere l’energia necessaria della quale ogni giorno avrete bisogno per andare avanti in questo Mondo di merda, ma anche mondo pieno di Aria di vita, come dice Giusy Ferreri in una sua canzone».

















Nonostante le difficoltà che stai affrontando in questi ultimi mesi, riesci ancora a guardare al futuro con “occhi speranzosi”. 

 «Io non so come riuscirò ad uscirne da questa situazione e se riuscirò ad uscirne male o bene ma come ho scritto da qualche parte io credo che per trovare il modo di auto assistersi si debba creare dentro di sé due personaggi, due personalità, quasi una sorta di sdoppiamento della personalità in due entità, in modo che una aiuti l’altra nei momenti di difficoltà. Una di queste può prendersi il lusso di essere più debole, di avere continui dubbi e di farsi continue domande e avere momenti di crisi che possono servire per scaricare la tensione che si accumula in noi ogni giorno. L’altra personalità, quella più forte, deve invece essere ben cosciente della forza presente dentro di noi di cui l’istinto di sopravvivenza ci ha dotato. E se ci capita di pensare che il primo personaggio sia quello che meglio conosciamo bisognerà ricordarsi che in realtà non è così in quanto conosciamo sicuramente altrettanto bene anche il personaggio forte che vive in noi visto che è proprio grazie a lui se siamo riusciti a superare tutti i momenti più difficili della nostra vita. Perché ricordatevi che è il personaggio forte in voi che ha fatto quadrato intorno a te e ha impedito ai demoni negativi del tuo inconscio di prevalere e avere la meglio. Ed anche questa volta cercherò di fare così».


In foto: Io in Olanda, io davanti ad uno dei miei primi MERdA (ph Rita Restifo) io durante una conferenza al MACRO, io durante un incontro al MAAM, io con la mia famiglia, buste di adesivi del progetto SOS-Boresta, un mio poster sotto a un cavalcavia a Roma, un mio adesivo in una cassettina di quadro elettrico.

Cristiana Cobianco

 Arte a servizio dell’essere


Cristiana Cobianco a seguito di una intervista parla di Pino Boresta.


















La vita a servizio dell’arte e l’arte a servizio dell’essere: Pino Boresta di Cristiana Cobianco

Non è facile permettersi l’arte, sia da fruitore che da artista. Dal primo punto di vista, collezionare o comprare arte sembra essere cosa riservata solo a un certo ceto sociale, che ne fa sfoggio più per status che per passione. Ma permettersi l’arte dal punto di vista dell’artista vuol dire riuscire a vivere solo d’arte e a mantenersi libero dalle logiche del mercato.

Sono convinta che l’uovo di colombo per risolvere entrambe le impasse sia sempre di più la possibilità di sfidare il mercato dell’arte che il crowdfunding rappresenta; investire dal basso in arte e poter acquistare opere a prezzi ragionevoli non avvelenati da percentuali di provvigioni, sicuri di poter contribuire a permettere all’artista di far evolvere il suo lavoro.

Ho conosciuto proprio attraverso un crowdfunding il progetto artistico “SOS  sfratto” dell’artista romano Pino Boresta. Vita e arte si uniscono nel progetto di messa a nudo a cui l’artista da anni è fedele.

Partito dal mondo del disegno di moda, si trasferisce a Londra e frequenta le avanguardie della capitale. Una formazione artistica diversa da quella delle accademie italiane, che supera l’opera d’arte tradizionale per indagare in senso filosofico sulla vita come opera, anche, se necessario, in modo patetico.

Torna a Roma e inizia il suo percorso di street art, non in senso figurativo, ma concettuale. Dal 1994 Pino Boresta è diventato un volto familiare per gli abitanti delle principali città italiane. Nell’ambito del suo Intervento Urbano di Interferenza Culturale portato avanti da anni, i bizzarri C.U.S., immagini della sua faccina-logo -intenta a esibirsi in smorfie di ogni sorta.

Ci sono poi i D.U.R. (documenti urbani rettificati), gli S.S.R.(segnaletica stradale rettificata) e gli S.D. (smorfie deteriorate): in queste ultime le smorfie di Boresta sono sottoposte agli agenti climatici e all’inquinamento o diventano la base per gli interventi di writers e di passanti che hanno voglia lasciargli un messaggio. L’interferenza urbana culturale è anche performance soprattutto a sfondo sociale, che viene certificata dall’artista e il valore dell’opera viene determinato da chi ne usufruisce per poi donarlo a chi ne ha bisogno per vivere (vedi “2001 Pablo Echaurren“).


















La vita a servizio dell’arte e l’arte a servizio dell’essere. Nel progetto “Io vivrò”  si fa portabandiera della denuncia contro le logiche curatoriali e il riscatto è l’esserci a prescindere. Raccoglie firme per supportare la sua candidatura alla Biennale di Venezia,  crea art blitz scomodi e imbarazzanti alle conferenze stampa di presentazione…ma infine una delle sue smorfie alla Biennale c’è sempre logiche curiatoriali a prescindere.
L’arte a servizio della memoria del nostro passaggio…l’archiviazione di parti del corpo come le unghie, l’archiviazione in agenda dei pensieri in 4 categorie per poi usarle nella performance “Agende in contatto“,  l’archiviazione e la misura dell’attività sessuale.

Il corpo e la vita usate per creare un rapporto sincero e non voyeuristico con l’artista che mette a disposizione i suoi fallimenti, le sue frustrazioni e le sue fobie anche pateticamente, ma tutto ciò crea empatia, crea memoria nell’altro, crea un quesito e una risposta che non è mai indifferenza.

Artribune ed Exibart parlano di lui, gli street artist lo adorano. Lui continua con la sua filosofia artistica, poco elegante ed esteticamente un po’ da discount, ma vicina a quello che ognuno di noi può permettersi, nonostante le notevoli capacità grafiche e di disegno che ho avuto modo di apprezzare nei suoi schizzi. Sono scelte!

“Nel mio lavoro c’è un coinvolgimento attivo dello spettatore, che è incoraggiato a costruire stati di riflessione indipendenti e personali, con l’obliterazione di attimi insignificanti della nostra esistenza colti dal continuo fluire della vita quotidiana. Inoltre pur considerando importanti e vicine alcune delle avanguardie, mi sento figlio dei situazionisti. Trovo che essi avessero già allora ben compreso molte delle esigenze oggi importanti. Condivido con loro il corpus del problema “La società dello spettacolo”, e ritengo, come sostengono loro, che sia necessaria soprattutto la costruzione di nuove situazioni, di nuove attività, dove la condizione preliminare sia quella della ricerca di forme diverse di vivere.”

Ho avuto con lui un’ interessante conversazione a Luglio che si può ascoltare volendo approfondire  al link di Coxo Spaziale, trasmissione radiofonica di Radio Città Fujiko, a cura di Stefano W. Pasquini  e Fedra C. Boscolo

Scrive Benjamin Franklin “Se non vuoi essere dimenticato appena sei morto e putrefatto, scrivi cose degne di essere lette o fa cose degne di essere scritte” , trovo sia questa la spinta emotiva di Pino Boresta che vi invito a seguire nelle sue escursioni nel mondo dell’arte nel suo blog pinoboresta.blogspot.it e il suo sito web www.pinoboresta.com.

Con complicità clandestina per l’intanto un suo Intervento Urbano di Interferenza Culturale è comparso anche tra Adige e Po. Tutti invitati a cercarlo ed ad interagire con l’artista.



Cristiana Cobianco: Appassionata d’arte in ogni sua forma, si innamora dei talenti che incontra e non riesce a non condividerne l’esperienza con il maggior numero di persone disponibili.
In pratica una gran chiacchierona.

Da una intervista del 29 Settembre 2017  su remweb.it







In foto: un mio adesivo di quelli interattivi da firmato e regalato, una mia faccia con il mio motto attaccati dietro un cartello della segnaletica stradale, mini adesivi del progetto CUS con su degli interventi.