martedì 25 maggio 2010

WHY NOT ME
















“Why not me to the Venice Biennial?”
a cura di Pino Boresta

ArtO' International Art Fair in Open City
Words and ideas: Sala Talks Palazzo dei Congressi Roma EUR
Ore 1200 – 14.00 Venerdì 3 Aprile 2009
Presenti: Cecilia Casorati (critica d’arte), Patrizia Mania ( storica e critica d’arte, Università della Tuscia), Daniele Capra (critico d’arte “Exibart”), Barbara Martusciello (critica d’arte), Marcello Carriero (critico d’arte, docente Università Tor Vergata, Roma), Caterina Iaquinta (storica d’arte), Giuliano Lombardo (artista).
Moderatore: Pino Boresta












Nell’incontro dal titolo “Why not me to the Venice Biennial?” che si è tenuto alla Fiera ArtO’ il 3 aprile alle ore 12:00 al Palazzo dei Congressi di Roma EUR, a mia cura e coordinamento, alcuni critici e storici d’arte nonché artisti sono stati invitati a discutere di un tema attuale e sempre molto dibattuto come quello delle scelte degli artisti per la Biennale di Venezia, partendo e prendendo spunto proprio dal mio ultimo progetto “Firma Boresta”, i quali oltre a rispondere a una legittima domanda che io stesso mi sono posto “La petizione può diventare un opera d’arte?” altre ne sono emerse prepotentemente.

· Perché certi artisti pur essendo bravi non faranno mai una Biennale di Venezia?
· Perchè certi artisti pur non meritandolo fanno anche più di una Biennale di Venezia?
· Dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose?
· Un artista può candidarsi per partecipare a una Biennale di Venezia o deve sempre far finta che non sia interessato?
· Esistono canali alternativi a quelli conosciuti nel “sistema dell’arte” per proporsi per una Biennale di Venezia?
· I giochi sono sempre fatti, nel momento stesso in cui viene scelto il direttore della Biennale di Venezia o esistono dei margini di azione?
· Conta o no il lavoro di un artista per essere invitato alla Biennale di Venezia?

A queste domande si sono poi aggiunte quelle dei relatori e del pubblico presente e le vostre che potrete inviare ad salepepe_99@yahoo.it contribuendo così alla complessa molteplicità e ricchezza di opinioni utili anche in previsione di una eventuale pubblicazione.



















Soele Boresta intervista Pino Boresta



























Pa!?!, sei sicuro che questa che hai fatto sia un opera d’arte?Certo che lo è cara mia… cosa vuoi che sia? Questa domanda potrebbe essere posta al riguardo di qualsiasi opera e operazione artistica dei nostri giorni. Io credo che ogni opera o intervento artistico ha un tempo giusto e uno sbagliato per vivere, io in funzione della mia storia personale e di quella contingente che respiro ho ritenuto questo il momento perfetto, ma non è detto che lo sia stato.

Tu in quest’opera chiedi aiuto agli altri, come provocazione contro il sistema, ma in realtà i più credono che sia un’azione che mette in luce solo te, che ne pensi?Non ne sarei così certo, questo è solo quello che potrebbe sembrare o apparire a una prima superficiale analisi, sono convinto che il tempo mi darà ragione e tu sei il mio delegato




In questo mondo dell’arte, snob, suscettibile, sospettoso ed egocentrico come tu mi ripeti spesso, in che modo è stata accolta questa tua nuova provocazione artistica?Devo dire che è andata molto meglio di quello che avevo previsto. Ho raccolto quasi 1000 adesioni senza dovermi sbattere troppo, e spesso erano loro stessi a chiedermi di firmare, mentre io mi limitavo a distribuire il volantino che in molti hanno gelosamente conservato. Del resto te ne sarai accorta pure tu le volte che insieme a Mairo o da sola mi sei venuta ad aiutare?



Si! E allora come mai quella volta che hai lanciato i volantini alla conferenza stampa della Quadriennale di Roma ti hanno portato via a braccia e quasi ti volevano arrestare? Il giorno dopo ne hanno parlato pure i giornali.Amore mio, non ti preoccupare era solo una performance un azione studiata a tavolino. In questo mestiere avvolte occorre compiere gesti e azioni che ti vorresti risparmiarti ma che diventano necessari se vuoi dare voce a quello in cui credi. Del resto chi non risica non rosica non lo sai? E poi c’e stato pure chi tra il pubblico a gridato “Non toccatelo! Lasciatelo stare è Pino Boresta!” so! Soddisfazioni anche queste, grazie caro Piccio dei Stalker.



Ma perché tutti gli altri artisti non fanno quello che fai te?Gli artisti non sono tutti uguali e il loro comportamento e dettato dalle proprie capacità e attitudini, infatti, la diversità di quello che dicono, di quello che fanno e di come lo fanno rende tutto più interessante, è il bello della diretta non credi?

Come nei reality?Brava! Esattamente così, e bisogna fare molta attenzione al montaggio, ricordatelo sempre.

Perché la gente avvolte reagiva in maniera strana alla tua richiesta di firmare per mandarti alla Biennale?Ma! Sai la gente è strana, del resto se io sono strano perché non possono esserlo pure loro, ne hanno tutto il diritto, e anche se la raccolta delle firme è avvenuta quasi sempre nei luoghi e nelle occasioni frequentate dal ristretto pubblico dell’arte, molti hanno creduto e credono che raggiungere un certo numero di firme mi dia diritto di pretendere e reclamare realmente l’invito alla Biennale Venezia, e chi sa forse hanno ragione!




























Tu mi dici che da ogni esperienza c’è qualcosa di buono da imparare tu cosa hai imparato da questo progetto?É vero! Purtroppo no so bene che cosa questa esperienza mi abbia realmente insegnato, forse è stata un’opportunità per constatare, scoprire e verificare che sono circondato da varie categorie di amici e nemici indipendentemente dal fatto che abbiano deciso di firmare o no. In un primo momento avevo pensato di aver scoperto che in realtà esistevano due categorie di amici e due di nemici più una svariata gamma di conoscenze; amici sinceri quelli che firmano, amici fasulli quelli che non firmano, nemici furbi quelli che firmano, nemici stupidi quelli che non firmano, e che tra i vari conoscenti sia che firmano o no pensavo vi fossero un sacco di sprovveduti, impreparati, incompetenti, inesperti, ingenui, ignoranti, opportunisti, ipocriti, ma anche un sacco di persone di fine intuito, gente intelligente, competente, esperta, colta e intenditrice, chiaramente parlo solo per ciò che concerne le competenze riguardo all’arte contemporanea sia ben chiaro. Ma ora credo che questa era un analisi troppo semplicistica. Ora spero solo che non abbaia ragione chi sostiene che pensare semplice spesso ci si azzecca.


Allora quelli che firmano sono i buoni e gli altri i cattivi?No! Bella mia non è così, e non è quello che volevo dire, anzi è più che legittimo che molti si rifiutino di firmare specialmente chi non capisce quello che gli si chiede. Sicuramente sono rimasto dispiaciuto, quando a rifiutarsi è stato qualche amico. Ma questa che mi fai è una domanda che continua ancora a rimbalzarmi da una parte all’altra della mente e che sta dando vita ad una serie di riflessioni interessanti che mettono a dura prova il mio pensiero schizofrenico facendomi credere cose diverse e opposte tra loro. Ho provato a scrivere qualcosa al riguardo, ma è venuta fuori una versione confusa e non sufficientemente matura, quindi ho deciso di aspettare che tu cresca mi aiuterai a trovare la risposta giusta, o almeno quella più intelligente.



Mi ricordo che un ragazzo alla fiera d’arte di Viterbo ti ha chiesto “Ma cosa pensi di dimostrarci con un’operazione come la tua?” Ma poi è arrivata quel auto blu ad alta velocità che quasi ci investiva, dopo abbiamo scoperto che dentro c’era Vittorio Sgarbi. Cosa avresti risposto al ragazzo?Non lo so, forse che c’è sempre un modo per non arrendersi? Forse che anche se non si hanno i santi in paradiso si può trovare il modo per farsi ascoltare? Forse certificare che si può ancora trovare il coraggio di dimostrare quello in cui si crede realmente? Ma soprattutto dare prova di disporre di prontezza di riflessi nel schivare coloro che ti vogliono schiacciare che nel mio caso non è certo Vittorio.



Pensi realmente che il direttore della Biennale di Venezia avrebbe dovuto invitarti?Certamente! Perchè tu pensi che non me lo meriti?
Daniel Birnbaum è un bravo critico e tutti affermano che sia molto attento a quello che succede intorno a lui, ma questo non è sufficiente a garantire a un bravo artista la partecipazione alla Biennale di Venezia, sono altri i meccanismi che fanno scattare l’invito. Ho capito fin da subito che l’importante era affrontare il tutto senza la più flebile bastarda fiammella di speranza, ma non so se ci sono riuscito.

Allora il mancato invito lo vivi come un fallimento?Per ogni domanda esiste una risposta, ma ora non c’è più tempo per rispondere a questa domanda perché è ora di andare a letto.
Fine




















Un successo fallimento o fallimento successo?

Non so se questo mio lavoro “Firma Boresta” faccia parte di quelle operazioni definite di critica sociale utilizzate come strumento di partecipazione. Credo pero che piangersi addosso non serva a nulla e sia necessario canalizzare le proprie frustrazioni nel modo migliore. Per questo ho pensato ad una protesta il cui processo stesso per attuarla diventi un operazione artistica. Trovo che elevare la lamentela a vera e propria forma d’arte sia oltre che divertente anche un occasione creativa meritevole di essere indagata fino in fondo. Lavorando intorno a questa idea ho dato vita al progetto ed il via alla raccolta delle firme per una petizione a mio favore affinché fossi invitato alla 53° Biennale di Venezia. Ho quindi realizzando una serie di azioni e prodotti come bandiere, volantini, adesivi, manifesti, CD, inserzioni pubblicitarie, e molto altro non tanto per raggiungere un obbiettivo fallito in partenza ma piuttosto nel tentativo di fallire il meglio possibile. Quindi un progetto nato per fallire, che raggiunge lo scopo dimostrando il suo assunto finale, e che si compie pur avendo tentato di tutto perché ciò non avvenisse.


















Dunque, non un fallimento, ma un successo su tutta la linea in quanto non è sufficiente sperare di sbagliarsi affinché un sogno si avveri. E io rispondendo a Franco Battiato potrò continuare a pensare “Almeno, n’avessi avute di occasioni perdendole”.
Pino Boresta



PINO CONTRO I MULINI A VENTO

“Sventurata la terra che ha bisogni di eroi.” B.Brecht, Vita di Galileo

Fantastica e coraggiosamente testarda l’operazione di Pino Boresta di chiedere di essere preso in considerazione per la madre di tutte le biennali, quella veneziana. A cavallo tra situazionismo, performance, happening, baraccata circense e operazione concettuale. Non proprio una spina nel fianco, ma un insistito solletico alla critica che - talvolta con la puzza sotto il naso - celebra, nella selezione degli artisti da invitare, il rito di affermazione delle proprie ambizioni intellettuali, se non, meno dignitosamente, quelle individuali. E di fatti, nonostante i tanti artisti che affollano la città lagunare (ma capita anche per Documenta o altre manifestazioni), siamo soliti ricordare la Biennale in base al curatore. Quella di Szeemann, di Bonito Oliva o di Bonami. E così faremo per quella di Birnbaum, o per le mostre dei commissari dell’italico Padiglione. Gli artisti, probabilmente soccomberanno alla critica.


























Pare opportuno, inoltre, valutare se una presenza alla Biennale può incidere nella carriera di un artista. Ovviamente talvolta sì, talvolta no: cioè non sempre. Il che ci induce a dire che - forse - non è nemmeno così importante fare parte di quel carrozzone se poi non si mette in moto un circolo virtuoso. A contare è quindi, oltre alla qualità intrinseca del proprio lavoro, la capacità di saper approfittare dell’opportunità per mirare ad una critica ed un collezionismo internazionale, a un mercato ai vertici, piuttosto che alla farfallina veneziana nella propria collezione di mostre da sfoggiare. D’altro canto è facile, avere in mente degli artisti che hanno fatto successo che sono stati in biennale, ma dovremmo pure considerare le decine di schiappe che giacciono irrimediabilmente nel dimenticatoio!
Diciamocelo, sembra una lotta contro i mulini a vento quella di Pino alla Biennale. Ma allora perché proporsi ed insistere, quasi eroicamente, con la propria candidatura, raccogliere firme, fare pubblicità, scrivere lettere, come da molto sta facendo con spirito battagliero? Essenzialmente per idealismo, per spirito gonadoclasta, per il piacere di rompere le palle, con finta ingenuità. Per discutere, divertirsi, incazzarsi. Per confrontarsi e possibilmente mettersi a soqquadro. Anche solo for art’s sake.
Daniele Capra




Il primo scritto è il comunicato e testo pubblicato all’interno del catalogo di ArtO’ nel mese di marzo 2009. Gli altri documenti erano invece tutti presenti all’interno della cartellina stampa distribuita all’incontro.

In foto:
- Alcuni momenti del mio intervento nella sala del Palazzo dei Congressi di Roma.
- Le foto dei vari relatori in quest’ordine: Marcello Carriero, Cecilia Casorati , Daniele Capra, Barbara Martusciello, Giuliano Lombardo, Caterina Iaquinta, Patrizia Mania.
- Alcuni momenti della raccolta firme del progetto “Firma Boresta”. 
- Figurina dell’Album di Oreste Uno di Picco Carceri.
- Foto di Vittorio Sgarbi, Daniel Birnbaum, Franco Battiato. 
- Opera installazione dal titolo “Pino Boresta contro i mulini a vento”.

mercoledì 19 maggio 2010

7° ArtBlitz - 04/06/2009

Arsenale of Venice Biennial







A Subversive to the 53° Biennial exhibition in Venice



June 5th 2009 on the “Corriere del Veneto” Sara D’Ascenzo write:
"While Baratta was explained the wonder of the changes of this year, a cry tore the room of the theater of the Small Arsenal: "What I have to do to be invited to the Biennal? ", has shouted an artist (Pino Boresta ndr). Baratta has maintained the cold blood: "There will be in the future so many Biennial exhibitions, I am sure that you will find the right one".

June 6 th 2009 I have written to Baratta explaining that I don't look for a right Biennial to me but I look to a Biennale that must be right. Unfortunately this doesn't interest to him.
He never answered me back.







June 5th 2009 on her blog Asya Geisberg write
“During the Biennale’s press conference, Italian artist Pino Boresta interrupted with a blood-curdling scream of “what do I have to do to get into the Biennale?” before being escorted out by security.”

As Marco Baravalle says about of his book I can equally sustain that
“The art of subversive is the terrain on which Pino Boresta focuses is work. Without prejudice, in other words making sure it avoids any facile and illusory rejection of the system, and attempting to find new ways of interpreting, and new tactics to achieve independence and subversion.”
I have been sorry that Daniel Birnbaum despite the premises of his text written for the Biennial exhibition in Venice has not appreciated mine operated because as it says again Baravalle “There are people who work inside and out side the system, creating new conflicts and new ways of thinking of art and of the social relationships that regulate it, as well as its languages and its inherent objectives. Ultimately, the aim of art of subversive is primarily that of subverting some of our convictions with regard to contemporary art.













Here the link where is possible to see the video of the artblitz
http://www.youtube.com/watch?v=dSv-VQT2hiQ

giovedì 29 aprile 2010

Per chi l'ha visto


PER CHI L’HA VISTO

Milano: ore 15.30/17.00 venerdì 26 marzo 2010
Miart: Sala De Arte Disputatio
Libera opinione expositio/libere riflessioni
Twister- rete musei lombardi per l’arte contemporanea.
Un confronto per il futuro
Intervengono: Chiara Bertola, Andrea Bruciati, Vincenzo Chiarandà, Anna Daneri, Alberto Galardini, Mario Gorni, Roberto Pinto, Riccardo Passoni e gli artisti di Twister.
Moderano: Alberto Fiz, Rachele Ferrario.


PER CHI NON C’ERA

Seduto in prima fila ascolto chi sostiene che le scelte fatte per il concorso pubblico internazionale a invito “Twister” erano tutt’altro che originali per non dire scontate, ed auspicava di non dover più esser costretto a fare scelte che non gli competevano. Era comunque disposto a scrivere un testo critico per la seconda edizione. Seduto comodamente ascolto chi avrebbe voluto un progetto più sociale tra gli artisti. Seduto compostamente ascolto chi invece della socializzazione tra gli artisti non gliene frega niente ed era contento così. Seduto a gambe accavallate ascolto chi lamentava che alcuni artisti si erano semplicemente limitati a piazzare un’opera in strada, e non era certo questo l’intento del progetto. Seduto anchilosato ascolto chi si augura che la prossima edizione possa essere migliore, consapevole però che potrebbe anche essere peggio. Seduto allungato ascolto chi ci parla della rete che non c’era e spiega quando la rete è rete. Seduto stiracchiandomi ascolto chi spiega il suo lavoro giorno e notte. Seduto scompostamente ascolto chi contesta che tutto quello fatto era vecchio, vecchio, vecchio. Seduto stravaccato ascolto chi difendeva comunque la buona volontà dei musei coinvolti. In piedi chiedo la parola ritenendo opportuno che anche io dica la mia. Qualcuno gentilmente mi passa il microfono e io dico: “Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore. / Dove andavi fratello / come il fiume così il tempo va / dietro la notte c'è un castello / corri fratello. / Dentro al mare la terra non ha polvere nel cuore no / torna la luce e nasce un fiore / fiore di serra. / Con il cielo e l'acqua del mare (libera amore) / la sua ombra è luce di sole (libera amore) / apri la terra / dalla terra nasce un fiore. / Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore. / Dentro al mare la terra non ha polvere nel cuore no / torna la luce e nasce un fiore / fiore di serra. / Re dei fiori grande signore (libera amore) / re della terra sei fatto d'amore (libera amore) / dalle tue mani nasce il giorno cresce il sole. / Apri le braccia, apri le braccia / fiore di roccia nel tuo cuore / libera amore, libera amore, libera amore….” Tirando fuori dal portafoglio un biglietto da 10 euro e sventolandolo aggiungo “Tutto questo è dedicato a voi, ed a colui che mi dirà il nome dell’autore di questi versi regalo questi 10 euro da me datati e firmati”. Nessuno fa nomi, allora do un aiutino. “È un grande cantautore italiano…” qualcuno urla “Fabrizio De Andrè” rispondo “No! ma ci sei vicino”. Nessuno rischia più altri nomi, pertanto dopo aver contato fino a dieci ripongo via la banconota. Dopo un mio iniziale diniego dovuto all’amarezza che nessuno l’avesse riconosciuto rivelo ugualmente il nome del magnifico Ivano Fossati. Quando poi qualcuno mi chiede “Vabbè… ma con quello che stavamo facendo e dicendo che c’entra?” Io non risponderò ma mi domanderò “Avrò sbagliato Fiera?”.




E PER CHI QUEL GIORNO LI INSEGUIVA UNA SUA CHIMERA

Pino Boresta

Fluxus-blitz


Fluxus-blitz di Pino Boresta

Auditorium Parco della Musica (Roma)
FLUXUS BIENNIAL - After Fluxus
Ore 20.30 Venerdì 26 Febbraio 2010
Intervista psichica # 2
George Maciunas interviewed by Ramundas Malašauskas

Arrivo, visito velocemente la sala dedicata a Maciunas quando poi Lucio Perotti si mette al pianoforte e incomincia a suonare si raduna tutto intorno un cospicuo numero di persone che si dispone a semi cerchio. Finito il primo brano musicale capisco che è arrivato il mio momento, mi tolgo la giacca che appoggio li accanto e vado in mezzo alla folla vicino al pianoforte e saltando strillo "E meno male che c'è Maurizio Cattelan.... E meno male che c'è Maurizio Cattelan" Nessuno mi interrompe e il pianista continua a suonare come se nulla fosse il pubblico non riesce a capire se ciò facesse parte della performance o meno. Dopo un paio di minuti qualcuno dell’organizzazione mi fa gentilmente cenno di smettere, io nonostante stessi quasi svenendo per la fatica gli faccio segno guardando l’orologio che avevo quasi terminato il mio blitz-perfomance. Continuo così ancora per un altro paio di minuti. Quando esausto smetto, inaspettatamente tutto il pubblico mi saluta con un bel applauso.
Quando poi vistosamente affaticato seduto su una sedia sotto il portico dell’Auditorium qualcuno mi chiede perchè lo avessi fatto, rispondo che era un omaggio a tre menti indubbiamente geniali come George Maciunas, Simone Cristicchi e Maurizio Cattelan e comunque ognuno poteva tirare le proprie conclusioni.
Pino Boresta

giovedì 18 febbraio 2010

Elenco 2005/2009


Hanno scritto di Pino Boresta



2005 Silvia Biagi; testo scritto in occasione del WebArt project “No logo CUS”

2006 Claudio Morici; testo pubblicato come capitolo nel libro “notebook” a cura di Dario Morgante, edito da coniglio editore.

2007 Tania Vetromile; testo scritto in occasione della mostra/evento "Firma Boresta" all’Associazione Aevum, nel dicembre 2007.

2007 Chiara Li Volti; articolo pubblicato on line su “Culturlazio” il 29 novembre 2007.

2008 Valeria Arnaldi; articolo pubblicato su “il Giornale” il 22 marzo 2008.

2008 Carla Ferraris; pubblicato on line su teknemedia il 3 giugno 2008.

2008 Fulvio Abbate; articolo pubblicato su “L’unità” il 22 giugno 2008.

2008 Chiara Li Volti; testo dal catalogo “SM° Scala Mercalli - Il terremoto creativo della Street Art Italiana” a cura di Gianluca Marziani, edizioni Drago.

2009 Daniele Capra; testo scritto in occasione dell’incontro "Why not me to the Venice Biennial? ", tenutosi ad “ArtO’ International Art Fair” Palazzo dei Congressi, Roma il 3 aprile 2009.

2009 Daniele Capra; articolo pubblicato on line su “Exibart” il 26 giugno 2009.


2005 Silvia Biagi


Loss of space



“Perdita di spazio”, o piuttosto invasione dello spazio da parte dei sempre più complessi ed invasivi sistemi di marketing aziendali. Con questo intervento Boresta continua la sua “azione di disturbo” contro il sistema onnivoro della pubblicità: partendo dal classico antiglobal di Naomi Klein “No Logo”, propone un’inedita esplorazione del testo attraverso alcune brevi frasi selezionate, che permettono all’utente del sito di crearsi un proprio personale percorso, diverso ogni volta.
























Al moltiplicarsi dei loghi aziendali Boresta oppone invece il proprio logo personale, che non è poi altro che il suo stesso volto deformato in diverse smorfie. E con queste smorfie, trasformate in stickers adesivi, ed incollate in ogni punto della città, su muri, manifesti, cartelli stradali, indicazioni, segnali di divieto, Boresta ha compiuto una vera e propria operazione di riappropriazione dello spazio urbano.
























La smorfia diviene in questo modo anche marchio o logo dell’artista, in opposizione ai loghi che quotidianamente vengono imposti dal martellante condizionamento pubblicitario. Un logo scanzonato e irridente, tanto più prezioso quanto meno legato ad intenti commerciali, totalmente svincolato dalle logiche economiche e di mercato.


Silvia Biagi

Testo scritto in occasione del WebArt project “No logo CUS”


In foto:

- Intervento urbano CUS
- Cerca ed Usa la Smorfia.

- Foto rivisitata di Naomi Klein.

- Intervento urbano CUS con 2 facce attaccate a distanza di tempo di 2 anni una dall’altra.

2006 Claudio Morici



Pino Boresta c’è!




Una delle prime volte che ho visto Pino Boresta stava in un locale romano, con una decina di persone davanti. Leggeva un suo testo, eccolo:
"No, no, si, no, si, no, si, si, no, si, no, si, si, no, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, no, si, si, si, si, no, no, si, no, si, no, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, si, no, no, si, si, no, si, no, no, si, si, si, si, no, si, si, no, si, si, si, si?, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no, si, no, no, no, no, si, no, no, no, si, no, no, no, no, no, no, no, no, si, si, no, si, si, si, si, si, no, si, si, si, no, si, si, no, si, si, no, no, si, no, si, no, si, si, no, si, si, no, no, no, si, si, no, si, no, si, no, no, si, si, no, si, si."
Poi si fermava qualche secondo, guardava il pubblico e riprendeva così:
"Da lunedì 8 luglio 2002 al martedì 19 ottobre 2004. I si sono le volte che mia moglie ha raggiunto l’orgasmo, i no sono le volte che invece non l’ha avuto"
Risate collettive. E ancora Boresta:
"Può risultare utile sapere che sono stati conteggiati come rapporti amorosi anche i rapporti orali. Vorrei aggiungere anche che il 24 settembre 2003 nasce la mia terza figlia Anisia, a lei dedico questo lavoro"

























Ieri gli ho dato appuntamento alle 16 e 30 a viale Marconi. Di sabato. Dimentico sempre cos’è viale Marconi a quell’ora. Un inferno di lamiere, clacson, ragazzine con il piercing e la madre che porta le buste, vigili urbani con la penna facile e un esercito di extra comunitari davanti ai negozi, con i loro sacchi di CD che chiudono e riaprono in base alle informazioni dei colleghi che fanno il palo. Impossibile trovare parcheggio.














Incontro il Boresta a piazzale della Radio, sorridente, non gliene frega nulla del traffico perché è venuto con i mezzi. Lui c’aveva pensato. Mi fa una smorfia e indica il cartello stradale. Prende per il culo? No, indica la sua faccia, con la stessa smorfia, sul cartello. Fantastico! I suoi adesivi sono ancora disseminati qua e là. C’è gente che non si interessa di arte ma appena gli faccio vedere l’adesivo mi dice "Ma dai! Ecco chi era!".
"E’ un lavoro degli anni novanta. All’inizio c’erano solo i miei, ora guarda…"
In effetti la sua faccia corrosa dal tempo ora è circondata da una decina di altri stickers. Ma lui è stato il primo in Italia. Poi ha diffuso anche l’adesivo interattivo, dove si poteva scrivere un commento sopra (alcuni sono stati raccolti e i migliori esposti). Ha realizzato anche cose tipo Disordinazioni Elettorali dove sovrapponeva la sua faccia adesiva ai manifesti elettorali del 2001 (senza pregiudizi di schieramento).




















Ma la cosa più bella che ho visto è un video di Venezia girato da lui stesso. Si vede Pino che poggia la telecamera sopra qualcosa. Poi si avvicina al cancello della Biennale con il suo giubbino grigio a 8 tasche. Controlla a destra e a sinistra, fa il vago. Tira fuori dalla tasca la sua faccetta e l’appende proprio sotto la scritta "ingresso". Poi torna alla telecamera. Fruscii. Nero. La performance va avanti per 60 minuti di cassetta, mette adesivi nei bagni, accanto alla opere più famose, nelle crepe dei muri, sulle scale, sulle maniglie delle porte, subito dopo i nomi degli artisti. In pratica la Biennale l’ha fatta anche lui.
"C’è gente che dice che sono narcisista. Ma mi hanno visto bene? Mica sono così bello, no? E poi faccio pure le smorfie. E’ una forma di autodenigrazione, no?"
Lo faccio salire in macchina. Decidiamo di iniziare l’intervista subito, probabilmente saremo a metà quando troveremo parcheggio. E non abbiamo tanto tempo, il Boresta deve accompagnare una figlia a nuoto passando in farmacia per comprare l’aspirina per l’altra bambina, febbricitante. Sempre che sua moglie si ricordi di prendere il terzo pargolo dalla nonna e di fare la spesa. Io invece devo tornare a lavoro e consegnare entro lunedì i testi per il sito italiano di una nota quanto discutibile multinazionale, sono due domeniche di fila che ci sto sopra. Parto con la prima domanda:
"Pino, chi cazzo ce lo fa fare?"
"Ah, non lo so. La risposta cambia sempre."












Lo assillo su questa cosa da quando ci siamo conosciuti per la mia antologia Teoria e Tecnica dell’artista di merda.
"Nel 1997 ho fatto una performance sui tapis roulant della stazione di Piramide. Distribuiva penna e questionario alla gente di passaggio. Nove domande tipo Cos’è l’arte? Dov’è l’arte? Chi è l’arte? Quant’è l’arte? All’uscita un mio compare le raccoglieva. Tutti avevano una loro teoria sull'arte. Da chi scriveva "questa no", fino a digressioni filosofiche più o meno ardite... Eccolo! Eccolo!!!"
"Che?"
"Eccolo... lì!"
Dall'entusiasmo si direbbe abbia riconosciuto chi gli ha fregato il portafoglio, invece Pino mi segnala solo un posto libero sulla destra. Lo supero e provo a fermarmi, ma una piccola fila di stressati mi pressa alle spalle. Sento una signora che fa "A deficienti!". Non do segni di reazione, neanche lui. Potrebbe essere una signora più grossa di noi.
"Da un po’ credo che tutto quello che ho fatto nell’arte, l’ho fatto per qualcun altro. Perché a qualcun altro sarebbe potuto essere utile. Mi sento un po’ un inserviente"
"Un inserviente?"
"Sì, delle persone che lavorano lontano dalla ribalta e che poi all’improvviso se ne escono con qualcosa che cambia il mondo. Scienziati, inventori, grandi pensatori, filosofi… Ho sempre pensato di voler fare qualcosa per loro. Ma non vale solo per l’arte, anche per la raccolta delle mie manie: i diari che ti ho fatto vedere"
Posso testimoniare che il Boresta appunta da molti anni, su moduli preordinati comprendenti anche sottosezioni qualitative, tutte le volte che si taglia le unghie, i capelli e che gli fa male lo stomaco. Segna anche le volte che eiacula, dividendole in solitarie e con la moglie. Tutto è schedato, archiviato e descritto in una riga tipo "a croce, distesi, gambe incrociate".
"Mi piace leggere le biografie. Spesso nelle biografie capisci che un sacco di gente fa cose che poi servono ad altri. Senza averne piena coscienza. Magari altri lo usano per qualcosa che neanche ti immagini lì per lì".



Penso all’antropologo Lévi-Strauss, nei primi del ‘900. Aveva capito che doveva appuntare tutto. E che le cose che in quel momento potevano sembrargli più inutili (se aveva dormito o no di notte, se si incazzava con il portatore, ecc..) sarebbero state le più importanti per chi le avesse lette cinquant’anni dopo. Perché valevano per modelli teorici nuovi, ancora inimmaginabili.
"Mi piace pensare di aver dato il quid per un idea a uno scrittore, a uno scenografo, a un regista, ecc.. A volte è avvenuto è mi ha fatto piacere".
So perché me l’ha detto lui, che Pablo Echaurren si è ispirato a il Boresta per uno dei personaggi del suo bel romanzo Delitto d’autore.
"Sono appunti che usi anche per le tue opere, no?"

"Certo, anche quando ho fatto le foto al suicida non sapevo a che potesse servire. Non sapevo che si sarebbe buttato, né che sarebbe diventata un’opera di net art".
Il Boresta fa riferimento a Hey! My friend, what’s the matter?, lavoro pubblicato nel 2001 su Exibart. Vengono messe online tre foto con un ragazzo di spalle che si sporge dal terrazzo. Insieme a una ricostruzione autentica dei fatti: Pino nota una persona immobile sul terrazzo da vari minuti, gli scatta delle foto e torna a casa. Quando ripassa lo trova sempre lì. Forse capisce le sue intenzioni ma non è sicuro, e non fa in tempo a far niente, non fa in tempo a dirgli "Hey! My friend, what’s the matter?". Il ragazzo si butta davanti ai suoi occhi. Insieme alle tre foto e al racconto dei fatti, viene allegato il documento ufficiale della polizia londinese, dove Pino Boresta viene chiamato a testimoniare sull’accaduto. La provocazione artistica, una delle più belle che abbia visto in rete, inizia nel momento in cui Pino invita gli utenti a:
"Riflettere se considerare COLPEVOLE o INNOCENTE l’osservatore del fatto, per non avere aperto la finestra strillando "Hey! My friend, what’s the matter?". Quindi spedire un messaggio nel quale riportate il vostro insindacabile giudizio"
RandomExibart mette quindi a disposizione un forum. Dove succede di tutto. Centinaia e centinaia di messaggi. Da chi scrive: "Ti meriti 30 anni di carcere", " Ci penserà la tua coscienza a punirti" oppure "Colpevole, per aver messo in mostra una cosa del genere lodando e lodandosi…", a chi apprezza e scrive: "Sono stato giorni a discuterne con i miei amici", "Fa male, come se avessimo anche noi la colpa".
"Ho fatto questo esempio non a caso. C’è appunto questa cosa della morte. Io prendo nota in modo maniacale delle mie abitudini per esorcizzarla. E allo stesso tempo per prepararmi. Segnarsi i rituali quotidiani, è un modo per meditare. Ogni giorno fai quelle cose, poi sebbene sembri assurdo, da un momento all’altro tac, fine. Ci sarà un numero preciso e limitato di volte che mi sarò tagliato le unghie. Magari 12.450, che ne so. Io attraverso l’arte mi preparo a quel momento. So anche che sarò sempre impreparato, certo."
Imbocco una stradina interna. Qui non c’è traffico ma di parcheggio neanche l’ombra. In più temo di essermi perso. In più devo pisciare. Passiamo accanto a una vecchia fabbrica di qualcosa. Tutto arrugginito, cadente, con l’erba che cresce dappertutto. Eppure intorno è pieno di macchine.

























"Siamo stati gettati in un marasma di cose belle, cose brutte, affetti, malattie, gioie… A un certo punto finisce tutto. Ma hai pochi momenti per accorgertene, no?"
"Stai nel marasma, non fai in tempo"
"Esatto. Devi farti delle tecniche. A volte mi è molto utile osservare i miei figli, La prima volta che cammini, che impari a parlare, poi la scuola, le cose belle e le cose brutte… è tutto un marasma dove sono pochi i momenti in cui ti raccapezzi. Però ieri mio figlio Mairo lo sai che ha detto?"
"Che ha detto?"
"Litigava con la sorella: sosteneva che Dio è della Lazio, perché le nuvole sono bianche e il cielo è celeste. Lui si che è un grande artista!"
In effetti il piccolo Boresta l'ho conosciuto ed è uno sveglio, sebbene non superi il metro e venti di altezza.

"Tu come hai iniziato?"
"Ho sempre avuto una fascinazione per lo spermatozoo. L’idea che dentro questa specie di girino ci sia la vita, ci sei già te. Fantastico!
Ci pensavo sempre: come fa a essere così piccolo?"
"In pratica sei stato ispirato dalla sborra?"
"Beh, quando stavo a Londra e facevo degli studi sui tovaglioli e avevo preso l’abitudine di macchiarli con lo sperma, come firma. Lo cerchiavo con il pennarello, insieme a una ciocca di capelli.
Così ogni opera poteva essere un figlio, no?"
"Perché eri andato a Londra?"
"All'inizio dovevo restare pochi mesi, per l'inglese. Poi sono rimasto quasi 4 anni. Lavoravo e portavo avanti la mia ricerca artistica che all’epoca era molto formale. Riguardava la pittura, il colore. I miei riferimenti erano Kokoska, Klimt, Schiele, Soutine"


























"Perché utilizzavi dei tovaglioli?"
"Li solavo al ristorante dove facevo il cameriere. Avevo la continua necessità di supporti su cui fare le mie cose. Ma da una parte non avevo i soldi per le tele e dall’altra mi bloccavano. I tovaglioli del ristorante erano un supporto povero che però mi dava più libertà d’azione. Pensavo se sbaglio chi se ne frega. Potevo sempre fregarne un altro il giorno dopo".
"Li ho visti in foto, sono molto molto interessanti. Ma come facevi a dipingervi sopra?"
"La matita non scorreva bene, allora usavo un carboncino tenerissimo. Poi invece di utilizzare il pennello usavo un bastoncino. I soggetti che disegnavo erano spesso autoritratti o facce di bambini del terzo mondo".


























Ho ritrovato la strada, ma siamo fermi al semaforo. Se non ci fosse il semaforo saremo fermi lo stesso perché è tipica di viale Marconi la fila a passo d’uomo e la continuità per tutta la strada, indipendentemente dai semafori.
Un lavavetri si impossessa del mio parabrezza. E’ di quella specie che sconfina con il barbone. Pino tira fuori dalla borsa qualche spiccio e mi viene in mente la prossima domanda.
"Quanto c’hai fatto quella volta?"
"Che?"
"Quando hai fatto il lavavetri…"
"40.000 lire. Però è stata una giornata terribile. Mai più."
Nel 2001 il Boresta s’è inventato il Lavavetri No Profit. Se ne è stato al semaforo per una giornata con un socio del Bangla Desh conosciuto a un semaforo. Lui con una maglietta con scritto "Lavavetri a gratis" e l’altro con scritto "Lavavetri con offerta". Rientrava all’interno di una serie di interventi urbani fatti in tutta Italia.
"E’ una condizione di umiliazione che ti tocca per tutta la vita. Le facce di disprezzo, gente che ti urla addosso o ti guarda con fastidio. Ma la cosa che più mi ha ferito è stata un’altra: pensano che stai lavando i vetri perché non hai la capacità di fare altro. E’ così. Non pensano che lo stai facendo perché magari sei nato nel sud est asiatico, pensano proprio non hai le capacità per fare altro. Non potresti fare quello che fanno loro, ad esempio. Assolutamente no. Poi è stato interessante notare che mi trattavano proprio come il mio compagno di performance, un ragazzo extracomunitario. Da una parte sono stato contento che non ci fosse del razzismo. Però ti fa capire quanto sia una questione di condizione, di ruolo. Se fai quello, sei quello, non si scappa."
Mi si è intristito il Boresta. Guarda fuori il finestrino, pensieroso. Vederlo triste è una tragedia per me. Di solito è un gran cazzarone. Però ha molti di questi momenti contemplativi, non lo ritiri più fuori per qualche minuto.
"Lo sai perché ho fatto questa performance al semaforo?"
"Per guadagnare più soldi di un artista medio-famoso italiano?"
"No. Perché mio padre mi diceva sempre che avrei finito con il fare il lavavetri"
"Davvero?"
"Sì, sì. Non abbiamo mai avuto un bel rapporto".
"Raccontami un po’".
"Però tu non lo metti nell’intervista OK?"
"Certo se vuoi non lo metto"
"Sicuro?"
"Pino ci mancherebbe, lo sai che puoi fidarti, no?"


























"Va bene. Mio padre è un tipo a dir poco strano. Il mio terrore più grande è quello di assomigliargli, prima o poi. Credo di no, ma non si sa mai, sto sempre sul chi va là. In pratica non ho mai vissuto con lui. Non mi ha mai incluso nella sua vita. Lo andavo a trovare nei weekend, e ogni volta era un massacro. Mi ha sempre criticato tutto, denigrato, umiliato. Per l’arte non ne parliamo. "Prendi ‘sti pennelli e ficcateli nel culo. Vai a zappa’ la terra, vai a fa’ il lavavetri". Alla fine ci sono andato per davvero, per mettermi alla prova"
"E tu lì per lì come reagivi?"
"Dopo un po’ sono riuscito a gestirlo. Ma all’inizio non ne avevo proprio il coraggio. Quando tornavo da queste "vacanze" di uno o due giorni ci mettevo un mese per riprendermi. Per lui è una continua sfida, deve dimostrare sempre che è più bravo e più intelligente di me. Poi è un maniaco dell’igiene, qualsiasi cosa facevo era schifosa, da barbone. Assurdo. Io credo che lui a suo modo mi voglia bene, ma non so l’amore dove sia collocato all’interno della sua scatola cranica"
Brutta faccenda. Ma non posso fare a meno di pensare alla faccia con smorfia di Pino spiattellata a Roma, Milano, Torino, Venezia. A Kassel, a Berlino, Londra. Sui segnali stradali, sulle vetrine, sulle opere brutte di artisti fighetti. Una specie di "Pino Boresta c’è". Con chi pensa che è un narcisista, chi un deficiente, chi gli vuole menare perché sporca. Ma la cosa funziona e, appunto, Pino Boresta c'è. E siamo pure contenti.
"Se non mi fossi esercitato con mio padre, non sarei mai resistito nel mondo dell’arte. Con tutto quello che ho dovuto sopportare anche lì. Non a caso l’arte ormai è una questione di Famiglia".


Una delle cose più belle che mi ha fatto vedere Pino sono i suoi adesivi logorati dal tempo, accuratamente staccati da dove si trovavano e incorniciati ad hoc. Su ognuno il tempo ha operato in modo imprevedibile. Ogni adesivo è quello che rimane della smorfia del Boresta, quello che non si è distrutto nel processo, il nocciolo delle cose, ogni volta diverso.
Alla fine non ci siamo mai fermati. In fondo Roma è bellissima e i parcheggi non servono a niente.

Claudio Morici













Pubblicato nel libro “notebook” coniglio editore bamako febbraio 2006.

In foto:

- Opera dal titolo “Pino e Titti da lunedì 8 luglio 2002 al martedì 19 ottobre 2004” (il "Si" in rosso è il giorno in cui è stata concepita mia figlia Anisia).

- Pino e Anisia fanno l’aereo, Titti sullo sfondo.

- Extra comunitario vucumprà.
- Intervento urbano CUS.
- Libri “Teoria e Tecnica dell’artista di merda” di Claudio Morici e “Delitto d’autore” di Pablo Echaurren.

- L’antropologo Claude Lévi-Strauss.
- Foto del lavoro “Hey! My friend, what’s the matter?”.
- Mio figlio. Mairo.
- Spermatozoi normali e anomali.
- Oscar Kokoska, Gustav Klimt, Egon Schiele, Chaim Soutine

- 4 opere della serie dei tovaglioli.

- 4 foto della performance “Lavavetri No Profit”.
- 2 tavole di smorfie deteriorate.
- Claudio Morici.

2007 Tania Vetromile


Meno kermesse più artisti




























Il progetto “Firma Boresta”, è una campagna per la raccolta firme in favore della partecipazione di Pino Boresta alla prossima Biennale Internazionale di Venezia. L’operazione muove dall’esplicito diniego di Boresta a firmare e sostenere una campagna promossa nel 2005 da alcuni noti personaggi del sistema dell’arte italiana in favore della partecipazione di artisti italiani all’importante kermesse d’arte veneziana. Motivando, attraverso una lettera pubblica, con la totale sfiducia nei confronti dei meccanismi di selezione degli artisti insiti nel nostro sistema dell’arte contemporanea, Boresta si è lasciato coinvolgere in un divertente botta e risposta che, fra il serio ed il faceto, ha indotto l’artista a perorare la sua causa attraverso un plebiscito popolare.


Il progetto Firma Boresta, in cui è evidente un’esplicita componente di protesta, implica ulteriori evidenze contenutistiche e formali. Il coinvolgimento dello spettatore anzitutto, in questo caso chiamato a firmare e, se lo desidera, a farsi fotografare - decidendo così di comparire nell’opera che l’artista realizzerà al termine della sua raccolta – è uno degli aspetti che contraddistingue la ricerca artistica di Boresta, tesa ogni volta nella ricerca di nuove forme d’interazione con lo spettatore, coopartecipe nella costruzione di modalità alternative di vivere quotidiano.

Diversi anche i rimandi che possono essere rintracciati nell’attualità: il problema della meritocrazia, la sensibilizzazione dei cittadini alla presa di coscienza delle sovrastrutture di controllo, cittadini questa volta chiamati in causa, attraverso il gioco ironico dell’artista, su un terreno che, seppur totalmente loro estraneo per interessi e contenuti di merito, appare viziato di insidie largamente diffuse. Non da ultimo l’aspetto legato all’auto-referenzialità, predominante nell’operazione artistica di Boresta e utilizzato come elemento di rottura nei confronti della società globalizzata e consumista/consumistica: dalle famose “smorfie adesive”, disseminate nel contesto urbano, dei Documenti Urbani Rettificati (a contaminare manifesti, verbali di multa, cartelli stradali) ai piccoli adesivi in cui, sotto la propria faccia, l’artista chiede di lasciare un messaggio.


Per l’occasione è stato presentato il progetto di Net art No-logo C.U.S., ideato da Pino Boresta e realizzato in collaborazione con l’associazione Aevum. Nel progetto No-logo C.U.S. visibile ed esplorabile sul sito www.aevum.it, Pino Boresta associa le immagini-documento di uno dei suoi interventi urbani più popolari “Cerca e usa la smorfia” (C.U.S.) a brani tratti dal saggio della scrittrice canadese Naomi Klein No logo, già definito quale “bibbia” del movimento anti globalizzazione. Il volto- smorfia di Boresta, da anni disseminato nelle strade di Roma e di altre città italiane, inteso come ironico e irridente “marchio” o “logo” dell’artista svincolato da qualsiasi logica economica e di mercato, diviene mezzo di opposizione all’invadente industria dei marchi e delle firme che quotidianamente cerca di imporre ai “consumatori” il proprio condizionamento pubblicitario.
























Con il progetto No-logo C.U.S. destinato alla fruizione sul web, luogo per eccellenza dell’”interconnessione”, viene innescato un possibile contatto tra le riflessioni contenute nel testo della Klein e la possibilità, mediante un’operazione artistica come “Cerca e usa la smorfia” di Boresta, di riaffermare l’individualità del singolo, riappropriandosi al tempo stesso dello spazio urbano attraverso un intervento “disordinante”, tendente ad attivare un rapporto diretto con l’osservatore, non più passivo consumatore ma partecipante attivo invitato a scrivere ciò che pensa riguardo alla pubblicità e alla sua invadente presenza nella vita delle città.


Tania Vetromile

L’evento dell’artista Pino Boresta si è svolto sabato 1 dicembre 2007 con due progetti inediti realizzati in collaborazione con l’Associazione Culturale Aevum, a cura di Tania Vetromile, Donatella Apuzzo e Marta Seravalli.

Comunicato stampa pubblicato on line sui siti Exibart, Undo.net, Teknemedia, Mentelocale, Romaguide e diversi altri e sulla rivista d’arte Juliet n.136.


In foto:

- Raccolta firme in favore della partecipazione di Pino Boresta alla 53° Biennale di Venezia.

- Alcuni momenti dell’evento del 1 dicembre 2007 Ass. Culturale Aevum.

- Libro di Naomi Klein No logo con copertina rivisitata.

2007 Chiara Li Volti


La raccolta firme di Pino Boresta



























Accadde nel 1999. La Biennale di Venezia, quell’anno fu l’edizione di Harald Szeemann, “soppresse” il Padiglione Italiano, che confluì nella mostra generale, inglobata nel progetto del Direttore, esteso dalle Corderie fino agli spazi dell’Arsenale. L’Italia, paese ospitante l’evento, perdeva la possibilità di concorrere al premio assegnato al miglior Padiglione ma, cosa più importante, sembrava definitivamente destinata ad accettare il peso storico di una tradizione che lega il nostro paese ad un luminoso passato artistico, cui fa da contralto quella difficoltà, riscontrata in diversi campi, non solo culturali, di farsi driver di innovazione.























Nel 2005 la protesta. Una lettera, aperta alla firma di quanti più possibili sostenitori - realizzata con la collaborazione di differenti associazioni culturali, curatori e critici d’arte - venne indirizzata al Presidente della Fondazione della Biennale di Venezia Davide Croff. Si richiedeva specificatamente la necessità di una rappresentanza nazionale e l’istituzione della figura di un Commissario al quale affidare il Padiglione Italia. In mezzo a tutto questo la richiesta apparentemente controcorrente di Pino Boresta. Artista provocatorio, diretto e sincero, nello stesso anno scrisse “di un’italietta contemporanea” mediocre, in cui l’animo della rappresentanza sarebbe stata invalso a fronte di un sistema dell’arte che fatica a premiare chi davvero meritevole di esserlo. Chiedeva infine di non sottoscrivere il precedente appello e, al contrario, firmare quello che avvalorava la sua stessa produzione, più che qualificata per concorrere alla Biennale medesima. L’ultima biennalità ha dimostrato tuttavia che a nulla è valsa la pretesa di Pino Boresta, a dispetto di un Padiglione Italia che, con tutte le critiche di contorno, è comunque tornato al suo posto. Ma Boresta persiste.


Sabato 1 Dicembre, in collaborazione con l’Associazione Culturale Aevum, inserito nel ciclo di eventi espositivi “Mario a un anno” (dal nome del quartiere che ne è sede: Monte Mario), l’artista dà ufficialmente il via al suo secondo tentativo: “Firma Boresta” è una campagna di firme in favore della sua partecipazione alla Biennale prossima. Questa volta, alla posta elettronica, preferisce fin da subito la Piazza reale, quella di Nostra Signora di Guadalupe. Per la tradizionale agorà mostra un’antica predilezione, a cominciare da quegli interventi sul suolo urbano che sono la natura più spiccata della sua espressione artistica.


Adesivi su cui campeggiano le sue smorfie o piccoli Documenti Urbani Rettificati sono i due esempi più significativi della sua irriverenza. Boresta sembra voler rispolverare l’eredità di un Marcel Broodthaers nel momento in cui sceglie l’arte per farne vettore di consenso personalistico, quando l’artista belga ne faceva veicolo di approvazione culturale aggirando le istituzioni ufficiali e, anzi, emulandole, facendone il verso. Come non fare allora del progetto di Boresta una lettura dissacrante delle ultime tendenze del fare politica, dalla partecipazione locale ad un’interazione vis a vis con i firmatari che, vista la sede inusuale dell’evento, si presuppone poco abbiano a che fare con le questioni di “inclusività” nel sistema dell’arte contemporanea. A seguire una seconda parte dell’evento verrà inaugurata negli spazi dell’associazione: “Net art No-Logo C.U.S.” come estesa visibilità del marchio, l’ostentazione del proprio personalissimo brand.




















Pino Boresta intreccia il resoconto visivo di uno dei suoi interventi “Cerca e usa la smorfia” (C.U.S.) ad alcuni brani tratti dal saggio “No Logo” di Naomi Klein “bibbia del movimento anti globalizzazione”. Dal cittadino che firma la sua protesta al nettadino che visita il sito in cui il progetto “No-Logo C.U.S.” continuerà ad esistere, Boresta non lascia fuori nessuno.

Chiara Li Volti

Pubblicato on line su “Culturlazio” il 29 Novembre 2007

In foto:

- Raccolta firme per la petizione del progetto “FIRMA BORESTA”.

- Harald Szeemann e Davide Croff.

- Un momento dell’evento del 1 dicembre 2007 all’Ass. Culturale Aevum

- Marcel Broodthaers.

- Intervento urbano CUS - Cerca ed Usa la Smorfia.