venerdì 14 aprile 2017

Io ce l'ho piccolo




Clandestinità come vocazione?



Il mio è più grosso, il mio è più largo, il mio è più lungo, calma, calma, calma, tranquilli, sereni, state sereni, sto parlando dei lavori del MAAM, che fanno a gara per essere più gradi di quello accanto, o più monumentali di qualsiasi altra opera li presente. Io invece ce l'ho piccolo, e parlo sempre di opere d’arte sia ben chiaro, ho voluto, anche qui al MAAM, continuare a conservare il mio status di clandestinità. Infatti, pur conoscendo e frequentando il Metropoliz quasi fin dagli albori, non ho mai in realtà organizzato per il MAAM nessun tipo di evento speciale o intervento ad hoc, escluso la realizzazione, con gli abitanti di Metropoliz, di una torta per festeggiare il gemellaggio tra il MAAM e ARIA. 



























ARIA è una rivista underground di cui sono stato uno dei fondatori, e alla quale ha collaborato per un certo periodo anche Giorgio de Finis. Contenendo il mio ego tendente all’espansione a vantaggio della disseminazione, ho voluto anche al MAAM tenere fede al mio modus operandi, non per disistima nei confronti di Giorgio, un amico che stimo e di cui ammiro l’enorme lavoro, quasi miracoloso, da lui compiuto a Metropoliz, ma per una coerenza nei confronti di questo mio lavoro o meglio di questo mio intervento urbano, di cui ho voluto mantenere la peculiarità nell’attaccare qua e là piccoli adesivi rifugiati in nicchie, ospitati in ripostigli o nascosti in qualche cantone, per essere scovati solo dai visitatori più attenti, come in una caccia al tesoro. 


























Per questo sono stato piacevolmente sorpreso quando ho scoperto, di essere presente con un mio intervento all’interno di quello che a tutti gli effetti credo si possa considerare un primo catalogo del MAAM. Una bella foto di due etichette interattive del progetto “CUS – Cerca e Usa la Smorfia”, una in italiano e una in inglese attaccate su due grossi interruttori elettrici celesti affiancati.


























Esercitare la stessa modalità d’azione in questo, che sicuramente non è un museo come tutti gli altri, agendo in forma abusiva (la quale avrebbe anche potuto venire meno, poiché non necessaria né richiesta) o in semi-clandestina esattamente allo stesso modo di come avrei fatto in un museo istituzionale, mi ha garantito quella riconoscibilità necessaria affinché questo tipo d’intervento funzionasse esattamente come mi aspettavo, riuscendo allo stesso tempo a dimostrare, grazie al MAAM, che se si ama il lavoro di un artista, non ci sono limiti architettonici, strutturali o di qualsiasi altro genere che possano impedire a un artista di un certo tipo, di essere presente in qualsiasi contesto e spazio. Per cui, lunga vita al MAAM, e ai miei adesivi che già si stanno deteriorando, ma anche questo fa parte del gioco. 





Pubblicato sul sito di “Artribune” il 25 luglio  2015


Questo il cappello a cura della redazione: 

Rimaniamo interdetti in redazione: l’antispam ha fatto cilecca ancora una volta: Poi però vediamo il mittente: non si puo filtrare Pino Boresta, anche quando usa un oggetto del genere via mail. E allora ecco a voi come presenta il suo lavoro al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz.
M.E.G.


In foto: 

Io in azione al MAAM ed adesivi CUS attaccati qua e là al Metropoliz. 
Io mentre leggo il mio intervento al MACRO (l’ultima foto).

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