giovedì 26 giugno 2014

Anima Gonfia, che, che, che, che, che, che...



Lunedì 24 gennaio 2005 “Azione e Svantaggi”

Ieri! Sono cresciuto la mia anima si è gonfiata la mia coscienza si è allargata, la mia consapevolezza è più spessa, ma ne avrei fatto volentieri a meno.

Ieri! Non so che ricorrenza fosse ma su tutti i canali TV vi erano continui documenti sulla shoah che rivelavano verità sconvolgenti per il nostro io.

Ieri! Non riuscivo a staccare i sensi dallo schermo televisivo. Le interruzioni pubblicitarie, che in genere odio più di ogni altra cosa, erano quasi indispensabili per dare modo al mio cervello di respirare elaborando ed ordinando la marea di emozioni pensieri e riflessioni che quello che stavo vedendo ed ascoltando scatenava a getto continuo nella mia mente.

Ieri! Ho visto il mostro che dentro di noi ogni mattina dobbiamo annichilire e spingere in punizione in un angolo.

Ieri! Risucchiato come in un vortice ho compreso tutta la mia inutilità di artista di fronte a quello che apprendevo.

Ieri! Mi sono vergognato di aver qualche volta, anche se solo per qualche istante, pensato o più semplicemente ascoltato senza dire nulla, chi si lamentava del fatto che si parli ancora troppo di quello che ebrei ed altre minoranze etniche hanno vissuto sulla loro pelle.
Mi vergogno, mi vergogno, mi vergogno, di non aver avuto il coraggio di dirgli che non si può smettere né ora né mai di ripetere continuamente quello che é stato tentato di fare dai nazisti durante la guerra, perché questa tragedia enorme non è patrimonio del popolo ebreo e tedesco ma una tragedia che riguarda l'umanità intera nella sua totalità, e non tanto per la vastità delle popolazioni coinvolte ma per quello che degli esseri umani sono riusciti a fare. E per favore non parliamo di tentativo di fare perché non si può parlare di tentativo quando si uccidono a sangue freddo quasi 20 milioni e dico 20 milioni di persone. Quella di Hitler e dei suoi compari (che sono stati molti ma molti di più di quello che si vuole far credere) è un successo, un successo in pieno stile, messo in atto da quella macchina di morte che era il terzo reich. 

Ieri! Ho capito che la storia ci parla anche di altre stragi sanguinose e cruente compiute da alcuni popoli su altri come quella degli europei sugli indiani americani o ancora prima dei spagnoli e portoghesi sulle popolazioni indigene dell’America del sud, ed in Asia dove i cinesi giapponesi e sovietici hanno fatto altrettanto.
Perché è vero che ancora oggi vi sono in atto dei tentativi di pulizia etnica di cui si parla troppo poco.
Ma nessuno è riuscito a fare quello che i nazisti sono riusciti a fare durante la 2° guerra mondiale. Attenzione non parlo delle cattiveria ferocia, crudeltà messa in atto da questi, perché a qualcuno non sembrerà possibile, ma vi è chi prima e dopo di loro ha saputo fare peggio. Ma parlo della loro lucida e scientifica follia delle loro azioni.
Non riesco a credere che possa essere esistito qualcuno che sia riuscito a sostenere il peso della pazzia che le loro menti malate partorivano giorno dopo giorno.
Non riesco a credere che fossero realmente degli esseri umani, mi resta più facile pensare che fossero degli extra terresti camuffati da uomini. Forse quelli che qualcuno già cercava tra di noi prima ancora della seconda guerra mondiale.

Ieri! Ho capito che non esiste un popolo di assassini… ma per qualcuno attuare un progetto di sterminio di massa non è stato diverso da altri progetti e per compierlo al meglio ha avuto il terribile cinismo d’imparare analizzando quello che l’opera in corso del massacro gli forniva come esperienza.

Ieri! Mi hanno spiegato che anche per fare bene il mestiere dell’assassino, dell’aguzzino, del carnefice bisogna avere l’umiltà di saper imparare dai propri errori e questa è l’unica umiltà messa in atto dalle SS, dalle forze speciali naziste e da molti altri tedeschi e non solo.

Ieri! Non riuscivo a dormire perché continuava presentarsi chiaro nella mente il percorso schematico messo appunto dai nazisti per uccidere milioni d’innocenti, colpevoli solo di essere nati. Per esorcizzare questo stato emotivo ho dovuto trascriverlo qui di seguito:



  • Azione; Si uccidevano in prossimità o nelle vicinanze delle loro case e cospargendoli di benzina gli si dava fuoco. Svantaggi; Il lavoro non veniva mai ben fatto ed i corpi rimanevano spesso semi carbonizzati. Si sprecava un sacco di preziosa benzina, e bisognava faticare non poco per procurarsi la legna necessaria abbattendo spesso molti amati e stimati alberi che i tedeschi apprezzavano sicuramente più degli ebrei.

  • Azione; Si portavano nei boschi si uccidevano vestiti si scavavano delle fosse poco profonde e venivano buttati dentro. Svantaggi; Anche così i tedeschi scoprirono piuttosto presto che questo costava loro molta fatica per scavare le fosse e gettarvi i corpi dentro. Inoltre spesso se non si voleva o non si aveva il tempo di spogliarli i vestiti ed altro non era riciclabile e tutto andava perduto.

  • Azione; Allora si pensò bene di portarli si! a fare una breve gita nei boschi ma prima di ucciderli gli facevano scavare la loro stessa fossa poi li facevano spogliare, li mettevano in fila nudi sul ciglio e sparandogli non dovevano neanche fare la fatica di spingere i corpi giù nella buca comune. Poteva capitare che qualcuno si ostinasse a non morire come da statuto, ed allora la povera truppa tedesca doveva faticare un po’ di più con qualche calcio qui e lì. Vi consiglierei poi di evitare la solita stupida riflessione “Visto la fine imminente avrebbero potuto rifiutarsi di scavare la fossa , e tentare magari di scappare ribellandosi tutti insieme, sarebbero morti ugualmente, ma almeno…”. Ma almeno che? avete visto troppi film di Rambo e non avete mai assistito ad un uomo che muore con il cervello spappolato da un colpo di pistola. Svantaggi; Si sprecavano molte munizioni, bisognava ricoprire la fossa ed era un procedimento molto lungo, ma incredibile a credersi questo non erano il vero problema. Il problema più grosso era costituito dalle conseguenze che riportavano i soldati del plotone di esecuzione che finivano per avere a seguito di ciò che facevano gravi disturbi psicofisici e molti di loro finivano per stare male e marcavano visita, alcuni impazzivano o scappavano, qualcuno addirittura si suicidava, ma nessuno si rifiuto mai di fare il proprio dovere. E se un essere umano preferisce suicidarsi piuttosto che rifiutarsi di eseguire un ordine credo debba essere oggetto di un attenta riflessione e forse a questi si! Che varrebbe la pena di scoperchiargli la testa per vedere come rimbalzano da una parte all’altra i neuroni del loro cervelletto. Probabilmente in maniera più interessante di quelli dei gemelli monozigoti vivisezionati dai nazzi-scienziati pazzi.

  • Azione; A questo punto era chiaro che dovevano trovare altri sistemi più sbrigativi, meno faticosi, ma soprattutto meno shockanti e traumatizzanti per la truppa. Non fu difficile trovarli, infatti, é a questo punto che scesero in campo con tutta la loro creatività le menti più criminali partorite in seno al regime. Cominciarono ad utilizzare di volta in volta quello che l’occasione ed il territorio offriva. Pertanto, in un caso la comunità intera di un paese venne tutta rinchiusa in una sinagoga alla quale venne poi appiccato il fuoco non risparmiandosi di sparare raffiche di mitra sui bambini che alcuni genitori nella speranza di salvarli gettavano da alcune finestre che erano riuscite ad aprire. In altri casi specialmente nei paesi freddi del nord si approfittava dei vasti laghi ghiacciati nei quali si praticava un grosso buco dove venivano gettate centinaia di ebrei, e non solo, e poi richiuse. Dove non vi erano laghi si penso di sotterrarli vivi, E’ stata questa una delle scene più scioccanti che ho visto ieri incollato allo schermo con occhi secchi che non riuscivano a trovare il tempo sbattere le palpebre per essere inumiditi. Ma finalmente arriva il colpo di genio, e qualcuno, credo a Treblinka ma potrei sbagliarmi, pensò per la prima volta di usare i gas. Quella prima volta usarono i gas di scarico degli automezzi, ma visto i buoni risultati non ci misero molto ad organizzarsi. Svantaggi; Pochi, se non quello di quegli odiosi cadaveri da eliminare ma alla quale trovarono ben presto una soluzione alla loro altezza e che gli procurerà parecchia fama ma di quella infame degna della loro infamia , i forni crematori.

  • Azione; E quindi arrivarono i campi di sterminio di Aushwitz, Dachau e molti altri, organizzati per rendere le cose più semplici e sbrigative per tutti, sia ai carnefici, che a questo punto non dovevano far altro che sorvegliare ed impartire ordini, ai martiri che condannati a morte quasi potevano scegliere come morire, sparati, bastonati, gasati, fulminati sui fili di recinzioni, impiccati (i più volenterosi riuscirono a farlo anche da soli), poi c’era chi sceglieva di morire di fame regalando fino all’ultimo giorno quella poca schifezza che gli davano da mangiare ai propri compagni ecc. ecc.. Svantaggi; Nessuno, anzi qualche vantaggio visto che i tedeschi riuscivano così a procurarsi la materia prima a bassissimo costo per fare saponette ed affini. Quindi questa volta niente controindicazioni, la macchina della morte era riuscita a trovare la sua perfetta chiusura del cerchio. L’unica preoccupazione consisteva nel fatto di fare presto perché stavano, fortunatamente per tutti noi, perdendo la guerra.



Avete! Avete visto quanta volontà, quanta abnegazione, quanti sacrifici bisogna fare, ma soprattutto quanto sia importante la pratica, per imparare bene il proprio lavoro di assassini o più propriamente di sterminatori di massa?

Materia prima per imparare c’è n’era molta in Europa. Troppa… purtroppo. Provo miseria nel pensare che…e mi resta difficile credere che… se non ci fossero stati ebrei o zingari ecc. questi carnefici avrebbero rinunciato ad imparare sempre meglio il loro mestiere, ma ciò che ho visto ed ascoltato non riesce a farmi pensare diversamente.
E si! Perché di propensione al mestiere di carnefici-assassini bisogna parlare e non di ideologia quando si riesce a mettere in atto un escalation come quella descritta qui di seguito:

  • NNNNEMICI; Hanno cominciato con l’uccidere gli avversari politici o chiunque la pensasse diversamente, perché n-e-m-i-c-i del popolo tedesco di cui “solo Lui” voleva il bene.
  • SSSSCOMODI; Per passare subito dopo a tutti coloro che pur pensando nella stesso modo erano però concorrenti s-c-o-m-o-d-i, e quindi traditori e spie al servizio del nemico.
  • CCCCARITA; E quindi giunge finalmente il momento di cominciare a mettere in atto un po’ di c-a-r-i-t-à e misericordia aiutando tutti quei poveri malati di mente rinchiusi nei manicomi a porre termine alla loro sofferenza terrena. Certi di compiere quello che loro stessi desideravano più di ogni altra cosa, li aiutavano a trapassare felici e contenti visto che così facendo davano una mano anche alla loro madre patria nel risparmiare risorse ed energie importanti che poteva essere in questo modo spostate su fronti più produttivi e necessari al regime, tutto in nome della gloriosa collettività germanica
  • DDDDANNOSI; Ben presto arrivò il turno dei leader, degli intellettuali, degli uomini più attivi ed intelligenti che avevano la sola colpa di essere ebrei, quindi d-a-n-n-o-s-i alla causa della comunità ariana.
  • NNNNOCIVI; Da qui al passo successivo, e dichiarare tutti gli ebrei, zingari, negri ed altre etnie esseri inferiori, fu breve. Tutti gli uomini adulti di tali razze vennero considerati n-o-c-i-v-i al popolo dell’impero. Pertanto andavano espulsi od eliminati in qualche modo, anche perché non degni di calpestare la stessa terra della razza suprema.
  • PPPPERICOLOSI; Dopo poco si decise di eliminare, quanto prima, tutti gli uomini dal sedicesimo anno di età delle etnie sopra citate considerati p-e-r-i-c-o-l-o-s-i per cui destinati a morire. Per il momento si escludevano dal massacro le donne ed i bambini con i quali non si era ancora deciso cosa fare.
  • IIIINFERIORI; Quindi, arrivò l’ordine di eliminare anche le donne che avrebbero potuto partorire altri inutili esseri i-n-f-e-r-i-o-r-i.
  • IIIINUTILI; Ma alla fine si decise di non tergiversare più e di ucciderli tutti, avendo però l’accortezza di cominciare dai i più deboli e malati insieme ai vecchi donne e bambini considerati i-n-u-t-i-l-i e pertanto un peso non più sostenibile dal grande stato.



Ma a questo punto sorgeva un problema… ammazzare tutta quella gente era un impegno troppo faticoso d’assolvere da soli cosi ebbero la brillante idea di farsi aiutare dagli stessi ebrei ed altri prigionieri. Nasce così la figura del “Capò” che in genere veniva assegnata ai più robusti degli uomini e delle donne. Altri ancora sani, e fisicamente sfruttabili, venivano utilizzati come schiavi per ogni tipo d’impiego, i più degradanti. Praticamente quello che all’inizio delle persecuzioni era considerata la condizione peggiore che ti potesse capitare, divenne ben presto la più ambita.
Divenire uno schiavo condannato ai lavori forzati sottoposto ai più efferati maltrattamenti perdendo ogni sorta di dignità nei confronti della propria persona era l’unico modo che ti permetteva di rimanere in vita.

Quando! Quando poi ho ascoltato la testimonianza dell’uomo dai pantaloni corti scampato alla morte è nato in me la necessità di scrivere qualcosa nel tentativo di descrivere le mie emozioni i miei pensieri.

che

Che!…Quella mattina mia madre, sapeva che sarebbero venuti a prenderci ed era informata di come andavano le cose.
Prendendomi da una parte, mi domandò (ma in realtà me lo stava dicendo) “Cosa vuoi fare? vuoi metterti i pantaloncini corti?, ed allora resteremo sempre insieme e vicini in fila con me e la tua sorellina e non ci divideranno, o vuoi metterti i pantaloni lunghi ed allora i tedeschi potrebbero pensare che sei già un uomo e ti metteranno nella fila con papa e tutti gli altri uomini?”. Non aspetto la mia risposta e mi mise i pantaloni lunghi. Quel giorno sul piazzale, quando ci divisero, fu l’ultima volta che vidi mia madre e la mia sorellina”

che

Che!…Un bambino nudo cerca in ginocchio a tastoni la mano del padre appena ucciso. Un tenete si avvicina estrae la pistola dalla fondina l’appoggia alla nuca del bambino, ancora carponi, e spara…. poi con un calcio lo spinge giù nella fossa. Il tedesco che ha raccontato questa storia piangendo ha detto “avrei dovuto raccontarlo a qualcuno, avrei dovuto farlo sapere…e forse qualcuno li avrebbe fermati”

che

Che!…Una donna sulla banchina ferroviaria rifiuta di separasi dal suo bambino, la minacciano dicendogli che se non lo avesse fatto l’avrebbero uccisa insieme a lui, lei risponde che avrebbe preferito morire piuttosto. Un tedesco delle SS si avvicina estrae la pistola, accosta le due teste, quella del bambino a quella della madre e spara un colpo, poi soddisfatto rivolgendosi a tutto il pubblico non pagante grida ad alta voce mostrando la pistola orgoglioso
“con una sola pallottola ”

che

Che!…Uno degli addetti alle camere a gas appena apre la porta sente il pianto di un bambino. Subito si accorge che un neonato era sopravvissuto miracolosamente, avverte immediatamente un soldato nazista che deciso senza battere ciglio, ne pensarci su un attimo, si avvicina al piccolo e gli spara un colpo. Uscendo dice “I miracoli non esistono” rivolgendosi a tutti coloro che avevano osato proferire la parola miracolo. Probabilmente aveva ragione lui in quel punto del modo non esisteva e non vi era spazio che per una sola realtà di cui lui era guardiano e Dio.

che

Che!…Una bambina nuda viene travolta e quasi soffocata dai corpi anch’essi nudi degli adulti, che morendo gli crollano in dosso. Quando sente che cantando sotto i fumi dell’alcol il plotone di esecuzione se ne stava andando, con estrema fatica riesce ad emergere da quella montagna di cadaveri e fugge nel bosco.

che

Che!…Questi sono solo alcuni dei tantissimi incredibili, sconvolgenti e shockanti episodi raccontati dai sopravvissuti all’olocausto che ieri mi si sono scolpiti nella mente, ma non ne sono contento, perché e solo la mia memoria e come tale non esiste se non dentro di me, mentre ben altro valore ed importanza avrebbe scolpire la pietra della memoria collettiva.

CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE



Estensione dell'olocausto
Il numero esatto di persone uccise dal regime nazista è ancora soggetto a ulteriori ricerche. Recentemente, documenti declassificati di provenienza britannica e sovietica hanno indicato che il totale potrebbe essere superiore a quanto ritenuto in precedenza. Ad ogni modo, le seguenti stime sono considerate altamente affidabili.
  • 5,6–6,1 milioni di ebrei
  • 3,5–6 milioni di civili Slavi
  • 2,5–4 milioni di prigionieri di guerra
  • 1–1,5 milioni di dissidenti politici
  • 200.000–800.000 tra Rom e Sinti
  • 200.000–300.000 handicappati
  • 10.000–250.000 omosessuali
  • 2.000 Testimoni di Geova



CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE CHE

anima gonfia

ieri

azione e svantaggi

nnnn ssss cccc dddd nnnn pppp iiii iiii

che

questa la breve storia dell’azione ed i suoi svantaggi



Pino Boresta





giovedì 2 maggio 2013

Fino a me stesso









Abbiamo intervistato in esclusiva Pino Boresta, il performer Romano che ha messo davanti la loro futilità con una azione artistica fortemente critica "Io vivrò" Baratta e Gioni, colpevoli di non averlo invitato a partecipare alla loro Biennale, dopo avere annunciato la sua morte perché omesso dalla prestigiosa panoramica ha dichiarato con forza a Gioni che continuerà a vivere nonostante la dolorosa e dolosa esclusione.
Duramente attaccato da Luca Rossi risponde indirettamente dalle pagine del nostro blog, rifiuta l'accostamento a artisti come Luca Lo Coco e Lavagetto e ci confida che continuerà la sua azione performatica e critica nei confronti della Biennale di Venezia.

Domenico Di Caterino





L'Intervista:

Mimmo:
Pino da cosa è stata mossa la tua azione performatica "Io vivrò"?
Ti chiedo questo perché personaggi sintetici creati dal sistema in maniera fintamente disfunzionale come Luca Rossi ti hanno accusato di essere troppo estremo e quasi impresentabile, secondo lui/loro e secondo una certa mentalità artistica, provocazioni e lavori come il tuo hanno senso solo quando realmente inquadrati in un sistema. 

Pino Boresta:
Quale sistema? Ci sono tanti sistemi, a me piace il mio sistema, credo che ognuno debba utilizzare il sistema che preferisce, il giorno in cui questo sistema non fosse più soddisfacente, cambierò sistema, e quale sistema utilizzerò? 
Probabilmente ancora una volta un sistema di quelli non realmente inquadrati, o forse no o forse si.







Mimmo:
Tu ti definisci un artista di processo o di prodotto? Quando determini una tua azione artistica pensi in termini di prodotto o t'interessa esplorare il processo che deriva da una suggestione che diventa processo e azione? 

Pino Boresta:
A me interessa tutto, il prodotto, il processo, l'azione artistica, il prodotto che nasce dall'azione artistica le esplorazioni, le suggestioni e tutto ciò che sorge a galla nel corso dell'azione stessa e dopo e prima di questa.



Mimmo:
Avevi annunciato la tua morte per poi urlare a Baratta e Gioni che vivrai, ma pensi sul serio che a certi artisti oggi interessi partecipare alla Biennale di Venezia? Forse realmente interessati a partecipare alla Biennale di Venezia sono solo quelli artisti Accademici (per carica artistica di portaborse politico e di partito) che non riescono a risolvere la loro frustrazione con un mercato privato che giustamente non ne ha mai riconosciuto l'attività ed il valore (il problema l'aveva bene evidenziato Sgarbi), ma un artista come te, ben radicato nel suo territorio e nella sua comunità che cosa ha in comune con la fiera del mercato culturale dell'arte con una patina d'istituzionalità? 

Pino Boresta:
Lo sai che mi hai convinto? Infatti credo che questo sia il mio ultimo tentativo di partecipare alla Biennale di Venezia, anche perché che altro potrei inventarmi? Oddio, una ideuzza mi è venuta.




Mimmo:
Diciamo qualcosa su Massimiliano Gioni, questo vento nuovo dell'arte contemporanea, di cosa è figlia questa sua presunta competenza superiore? Politi da anni sostiene su Flash Art di essere un suo padre spirituale di formazione, suo come di Cattelan, Bonami, Beatrice e Bellini per esempio, come mai tutte le grandi competenze del sistema dell'arte italia sembrano obbligatoriamente passare da Flash Art?

Pino Boresta:
Forse perché lo dice lui? Ma potrebbe anche essere vero, ma non credo mi interessi molto rispondere a questa domanda comunque l'ho fatto.



Mimmo:
Ti ritrovi nell'etichetta outsider del sistema dell'arte contemporanea? Se accomuno il tuo nome a quello di Marco Lavagetto (l'autore della beffa di Tirana ai danni di Politi e Flash Art e di Luca Lo Coco (l'artista costretto a chiudere il suo sito d'arte ashart sotto provvedimento cautelativo del tribunale di Palermo per una azione legale di Politi e il suo studio legale) sbaglio?

Pino Boresta:
Si!

















Mimmo:
Pensi che l'informazione artistica specializzata nell'epoca del web 2.0 abbia ancora un senso? In fondo a cosa servono ancora critici, curatori e galleristi? In questo tempo di forte crisi economica l'artista ha in fondo finalmente la possibilità di relazionarsi senza filtro, col suo lavoro, al suo pubblico ed alla comunità che lo determinano.

Pino Boresta: 
Gli artisti sono come i bambini, che soffrono se i genitori non elogiano quello che fanno. Lo stesso vale per tutti coloro che cascano in depressione se non trovano nessuno che si accorge di loro.



Mimmo:
Luca Rossi sostiene che per vivere non bisogna andarlo a urlare alla conferenza della biennale. Sostiene che la tua operazione sia solo critica istituzionale che mostra la tua debolezza che ha bisogno di essere alla Biennale per vivere, dice testualmente "Boresta dipende da ciò che critica, contraddittorio e fine a se stesso". Ho già dichiarato pubblicamente che Luca Rossi è qualcosa che mira a intercettare i cambiamenti in corso per capitalizzarli in futuro attraverso il web, tu cosa vorresti rispondergli direttamente. 

Pino Boresta:
Io rispondo che Luca Rossi ha ragione e che anche tu hai ragione su quello che dici di lui, ma anche io ho le mie ragioni che nessuno di voi due pero conosce.



Mimmo:
Luca Rossi mi ha scritto di te: "Boresta è il più insider di tutti perché per vivere deve andare alla conferenza stampa della biennale. Neanche alla mostra. Critisca istituzionale di vecchia data. Io vivrò???? Alla conferenza stampa? Vivrà cosa??? Ma dai, si vive con il fare e con i contenuti. Oggi tutti possono scrivere io vivrò sulla propria bacheca. Boresta è incagliato in vecchie logiche sistemiche." Altra critica feroce che il web attraverso il progetto Luca Rossi rivolge alla tua operazione, pensi realmente di essere incastrato con le tue operazioni in vecchie logiche di sistema? 

Pino Boresta:
No!

In foto: una mia opera "Testamento Suicidio", still life della mia performance "Io Vivrò", Paolo Baratta e Massimiliano Gioni rispettivamente Presidente e Curatore della 55° Biennale di Venezia. 

sabato 2 febbraio 2013

The strategy of the loser


Pino l’eccezion(al)e Interview by Daniele Capra


Trying to be invited at the most important biennial: The mother of all Biennale di Venezia, started more than a hundred years ago in Venice. Any person with proved trust in reason knows that an approach like that of Pino Boresta is automatically destined to fail. The Roman artist, in fact, for years has worked persistently to prompt curators and critics to invite him at the event, but with care to operate in a direct, unpleasant and no-licker manner. The blitz, the noise, the contestation in public debates, all measures of disturbance in which they are – programmatically – wrong approaches, methods, tones. We could even say that if this does not happen (that is if his requests were successful), he would deny himself the pleasure that nasty children often have to mess up the clean swot’s copybooks. And it’s too easy to develop winning strategies. Try to imagine how could be losing strategies. Anyway Boresta is that kind of personality: He is essentially an artist who loves to make questions, loudly breaking “cabasisi” (to break the balls) as Camilleri writes. Even the interview that follows is the proof.


Daniele Capra (DC): Inside or outside the art system, what is the difference?
Pino Boresta (PB): In the future it makes no difference, but today when an artist is presented within the system through special influential channels, it will be sure that his work will endorsement or at least a strong focus, regardless to the fact that it is appreciated, or not, by majority.

DC: But the Art is a work of relations…
PB: Yes, but what it will decree every time is the inevitable and repeated defeat of those who – despite – having a significant background work – always it will have to resign to face with a sort of systematic distrust, which affect the quality and amount of attention needed for a proper understanding of his work.

DC: So, do you want simply change the system?
PB: Simply! Do you think it’s not enough? We should quit with these opportunistic logic, used each time to make up Biennial and Quadrennial exhibitions for the benefit of those usual privileged artists supported by a small group of corporate galleries, foundations and institutes!

DC: So, the Sgarbi’s Italian pavilion is welcome?
PB: Who knows! I do not know, for sure I did not think in a formula like that of Vittorio Sgarbi! But more than that Quadrennial will adopt, also criticized – I dared to suggest in October 4, 2008 to Roberto Pinto, Emanuela De Cecco and other, in the break of the presentation of Subrizi’s book – where will be the artists to invite other artists, even if, looking to the late bad fact about me, I do not think the things will change much for me.

DC: I do not think it is important for you to become famous, but rather to help people to think about the mechanisms of inclusion/exclusion.
PB: Yes! Exactly!


DC: And you started immediately with public actions. When was the first?
PB: One of the first subject is the one where I made the offhand that intervention I told you before, where I promoted my project Boresta’s Signature. The opportunity was the presentation of the book “Why Duchamp” by Carla Subrizi at the National Gallery of Modern Art in Rome.

DC: You do not even remember what you said…
PB: Yes! Because I have write down a rag on the spur of the moment, that I still own. “I’m here to talk about the importance of Duchamp and his work, but unfortunately I have not prepared anything and also people have spoken and will speak more certainly competent than me. But I have a dream. No, far from it! I had a dream, dream where Duchamp, with a blond wig, urged me saying: “Go to the conference of Carla Subrizi who wrote and she is going to show a beautiful book about me”. Therefore on mandate of the great Marcello (Marcel Duchamp). I am here as a parasite, parasite of art, in attempting to make a petition as an artwork. I want to rate if a petition can become an artwork, but also I want to verify if today, an unsupported and un-promoted artist by the usual familiar faces, critics and powerful dealers, can still affect and influence this debate in its dynamics as surely Duchamp did, and I believe he would I have liked this idea. Or maybe not?”.

DC: Maybe not! And then what?
PB: I then distributed my flyers and collected some signatures.

DC: Now, what does it remain of the project FB?
PB: Everything! But what I still wonder to whom, the curator Daniel Birnbaum, claimed to be intellectually honest and virtuous, have requested information on a certain artist Boresta Pino, who had mailed a large parcel with almost 1000 subscriptions and miscellaneous publications concerning a curious initiative concerning in an auto-petition to be invited to his Venice Biennale…




DC: Maybe he never saw in person…
PB: I know for sure that he has received it and saw it, otherwise it would be very strange for a serious curator.

DC: Maybe your work interested him or maybe he’s just disgusting!
PB: “Bravo!” Yeah, maybe he was interested or even hated it, but he will definitely ask someone close to him who knew better the Italian art scene, and what they have said to him I will never know, but I can imagine how since the things are gone.

DC: I repeat. You should take advantage of Sgarbi (the incompetent)
PB: Are you saying that if I have failed to slip myself at the Biennale, even with Sgarbi, I will no longer have any hope to succeed?

DC: Yes!
PB: You may be right but I believe that at the Italian Pavilion curated by Vittorio Sgarbi, should participate only artists who make a certain kind of work, artists who make work that comes out even in the chaos of a thousand works and indeed the feed on chaos.



DC: You had to ask to him!
PB: I did it and he also called me, but then he told me that he is not convinced about me , but maybe this is a good sign. Taking part at the exhibition I would not have had nothing to lose, I do not care to hang my work stucked side by side with thousand other, when like a parasite, I hang them even over the other artworks. Do you really think that I care to compete for grabbing some public art attention within hundreds and hundreds of works of almost three hundred artists, when from eighteen years I stick up on the streets stickers with my face printed on, at the mercy of distracted every day citizens, defying the massive invasion of advertisement by which the cities are assaulted and raped? So, there is the risk to lose my battle, and every day I take my revenge.

DC: But this led you nowhere…
PB: But for example, it led me to you…are you “nobody”?

DC: So Venice will remain just a dream?
PB: But I was there at the hall and I am still there, take a closer look!

DC: What have you done?
PB: I unrolled my PVC poster titled “I want Pino Boresta to the Venice Biennial” and it rested there the whole day, illegally hanged. Many have seen it and i can confirm an enthusiastic Laura Palmieri.




DC: Is there anything that you liked of last Venice Biennale?
PB: I liked the Biennale Pavilion of Spain called “The Inadequate”. When I discovered it, I thought it was dedicated to me. In fact, I do not understand why I am not invited at the events. One of my articles that I wrote in the magazine Juliet, magazine with which I work from several years, is entitled “The out-date”, fancy that!

DC: You are not the only one to complain indeed…
PB: I’m right inside and over the themes of which are now debated in the art scene, having many years of work, contributing to go public, but I guess you right… I am unpleasant and I miss all the approaches, among these, they do not want me and they do not want to give me visibility.

DC: Do you think you are the victim of a plot?
PB: But it seems there is some dark figure plotting against me, and causes me not being there where it’s important to be there. Obsession of persecution?




DC: Yes!
PB: Maybe, but when someone else tells you and confirms some of the things you think, you start to believe that, perhaps, your rating are not entirely wrong.

DC: Aren’t you tired to complaining?
PB: But I told you, other do it because they want to get something. I do it because it is part of the work. They want stop me! They want stop me being an artist? Well, if Cattelan leave off, as he said, I leave off to be an artist. It is the “drag effect”, but if you think that however, he got some satisfaction while I do not, almost makes me think back! Ah ah!

DC: So what?
PB: I will tell you what: I give to myself another two years of time, and if I will not be invited to the next Biennial, I will commit suicide!


PINO BORESTA, Artist, Rome

venerdì 1 febbraio 2013

Artista e basta di Pino Boresta



              La ricchezza nella rinuncia



Assomiglia come una goccia d’acqua all’attore Jack Nicholson ma lui fa l’artista e vive a Roma. Si chiama Salvatore Pupillo. Quando l’ho conosciuto mi ha raccontato che lavorava come impiegato in un ministero, ma non riuscendo a fare entrambe le cose ha deciso di licenziarsi per fare l’artista a tempo pieno, così ogni volta che lo incontro a qualche vernissage questa è sempre la seconda cosa che mi viene in mente, la prima è: “Cazzo! Come assomiglia a Jack Nicholson”. Quando poi sorride con quelle sopracciglia che si sollevano diventa praticamente spiccicato al famoso attore nel suo tipico ghigno. Tutte le volte gli consiglio di sfruttare questa sua somiglianza in qualche azione che promuova la sua opera di artista visivo, ma lui è talmente timido che solo all’idea mostra sempre un visibile imbarazzo. Salvatore è uno dei pochi puri dell’arte astratta che ci sono rimasti, uno spadaccino della pittura del nulla o meglio del quasi nulla. 


Alcuni sui quadri che ricordo sono formati da flebili segni gialli quasi invisibili sopra una tela anch’essa di gialli sbiaditi come solo lui riesce a stendere e calibrare. Insomma un incrocio tra gesti alla Georges Mathieu, ma molto molto più leggeri, e delle sovrapposizioni dello stesso colore alla Kazimir Malevich ma il tutto molto ma molto più rarefatto. 


Opere le sue che non hanno niente di ermetico e niente di intelligente: sono una sorta di assenza una su l’altra che danno vita alla sua visione del tutto. Pupillo non è un vero artista. Il mondo è pieno di veri artisti e lui è un artista e basta: vive per quello che fa senza essere assillato dalla ricerca del successo a tutti i costi. E chi sa forse Salvatore ha capito che per avere successo l’unico vero modo è avere uno stile di vita rarefatto quasi invisibile come quei soggetti delle sue opere. Perché, come scrive Stefano Paolucci: “Un uomo è tanto ricco non di tutto quello che può possedere o ottenere ma è tanto più ricco quante sono le cose a cui può rinunciare.” E Pupillo ne è l’esempio vivente.


Pubblicato su; “Juliet” n. 160 December 2012 – January 2013

In foto: Jack Nicholson, Georges Mathieu - Kazimir Malevich, tre quadri di Salvatore Pupillo.


No event No party di Pino Boresta


                         Il valore d’azione

Un uomo entra in galleria si spoglia nudo piscia in un bicchiere e beve la sua urina “Niente di nuovo, già fatto da Günter Brus”, mi sussurra un mio amico nell’orecchio. “Si ma questo la fa’ alla spina non vedi?” rispondo io. Infatti ripeté l’azione di seguito per ben 3 volte. Ho poi saputo essere un giovane artista al suo primo lavoro fresco di stage alla fondazione Ratti. 


Questo giovane artista con questo suo lavoro presentato alla galleria Soffiantino ha sicuramente catturato l’attenzione di tutti i presenti alla performance, ma io mi chiedo: cosa ci si aspetterà ora in avanti da lui se questo è il suo primo lavoro? Cosà pretenderà il pubblico dell’arte sempre avido di scandali e azioni eclatanti? Quale sarà e potrà essere il suo secondo lavoro? Ma soprattutto quale sarà l’ultimo visto cotanto esordio? Tutto questo è colpa della frustrazione dell’artista moderno spinto verso una deriva sperimentale autolesionista sempre più estrema dettata dal desiderio di emergere? Colpa degli azionisti viennesi i primi ad esagerare e a farne le spese? Forse non esiste nessuna colpa ma è semplicemente quello che deve essere… ARTE e basta. Certo è che se è vero quello che ha detto il gallerista Massimo De Carlo in una intervista su radio 3 diventa difficile biasimare chi fa di tutto per farsi notare: “Per il mercato ed i mercanti che vendono e comprano a centinaia di Euro non ha importanza che l’artista sia bravo o meno, ci sono artisti bravi che non venderanno mai e non diventeranno mai famosi perché non sono stati da noi scelti…” 


Allora ci si può chiedere che valore ha l’azione e l’opera poco sopra segnalata? Spesso gli stessi artisti non conoscono il reale valore di ciò che fanno fin quando non è il mercato dell’arte a deciderlo. I magazzini di collezionisti e musei sono pieni di opere di artisti di cui spesso non si conosce ancora il reale valore e chi sarà a deciderlo, quelli come De Carlo?



Pubblicato su; "Juliet" n. 159 October – November 2012

In foto: Günter Brus durante alcuni momenti delle sue performance, la performance descritta nell'articolo, foto ritratti di Günter Brus e Massimo De Carlo.


Glamourart di Pino Boresta


Ce l’ho fatta


Finalmente sono riuscito a partecipare a uno dei vernissage più glamour della capitale. Alla grande galleria a due passi da Piazza di Spagna, arrivo presto e c’è già una piccola fila per entrare, mi guardo intorno e vedo tanta bella gente. Entro, salgo le scale e mi trovo al centro di una enorme sala ovale, e noto subito una bella bionda, magra e senza petto ma di gran classe. Porta un vestitino nero haute couture, su alti sandaletti con tacchi a spillo, vispa come un furetto: si guardava intorno e parlando al cellulare, lo stesso che poco dopo utilizza per fotografare quei grossi quadri perfetti per il salone della sua casa. Anche questa volta incontro il rimorchione che con molta probabilità conosce di arte contemporanea più del 90% dei presenti. Lo saluto, anzi questa volta gli stringo pure la mano. 


Poi incontro Simone che mi racconta di quella volta che dormii in camera con Maurizio Cattelan, a Venezia, e di come discussero animatamente e con opinioni contrarie sulla necessità che un artista realizzi con le proprie mani le sue opere d’arte. Era l’anno in cui Cattelan partecipò alla sezione “Aperto” della Biennale di Venezia con l’opera “Lavorare è un brutto mestiere 1993” che consisté nell’affittare il proprio spazio espositivo a una nota marca di cosmetici. Pare che il Maurizione nazionale, nonostante non fosse ancora quella star che oggi tutti conosciamo, si innervosì molto per l’insistenza della controparte nel sostenere la propria tesi e anche se la storia gli ha dato ragione oggi vi è un dibattito aperto sulla questione in cui le posizioni di molti degli addetti ai lavori è piuttosto vicina a quella del suo temporaneo vicino di letto. I due non si sono mai più rivisti per colpa pare di un cornetto alla crema pacificatorio offerto da Cattelan non accettato da Simone… Dopo un po’ vado via ma questa volta non attacco neanche una delle mie smorfie, Roma non mi merita più. Ah dimenticavo di parlarvi dei quadri: “Dipinti, caratterizzati da una forte gestualità astratta. Si intravedono, come sommerse, scene di corpi attorcigliati dissolte in voluttuose pennellate”.


Pubblicato su; "Juliet" n. 158 June 2012

In foto: L’opera di Maurizio Cattelan alla Biennale di Venezia del 1993, Piazza di Spagna a Roma.




Kermessart di Pino Boresta


Esserci e scomparire




Cosa esiste di più sperimentale che esserci, per poi sparire in mezzo a tutte le altre centinaia di opere sparpagliate in ogni dove; sopra e sotto a destra e sinistra di qua e di là, dentro e fuori e ovunque sia possibile infilare qualcosa. Questo il destino degli artisti italiani che hanno partecipato alla mostra nel padiglione Italia della 54° Biennale di Venezia. Una kermesse che nonostante le critiche o, forse, proprio grazie a queste, ha fatto il pienone, almeno nei giorni del vernissage. Infatti, visto il così alto numero di artisti, il successo di pubblico era probabilmente l’unica cosa prevedibile. Del resto come si poteva far mancare la propria presenza in un giorno così importante a tanti artisti che la biennale se la sognano anche di notte proprio come me, e pensare che Vittorio mi aveva pure telefonato ma dopo una breve chiacchierata mi ha detto che non lo avevo convinto, che sia un buon segno? 


Ora mi domando è meglio la grande ammucchiata di Sgarbi o un padiglione Italia assente? Ha chi ha veramente nociuto un pasticcio come quello di Sgarbi? A quei due artisti che sarebbero stati invitati perché appartenenti alla lobby dei soliti noti scelti al posto dei 300 (né giovani né belli né forti) o alla credibilità della nostra arte contemporanea nei confronti del mondo? Ma del resto chi ci dice che la prossima volta non sia peggio? Per questo io non ne farei un dramma ma proporrei Sgarbi santo subito: ha regalato un sogno a centinaia di artisti e la speranza ad altri migliaia, e in tutto questo non ci sarebbe niente di male se non fosse la stessa legge della natura a insegnarci che la specie non migliora senza selezione, e madre-natura sceglie realmente i migliori e in genere non sbaglia. 


Chi ama le statistiche sottolinea i numeri e le cifre vincenti di questa Biennale che il personaggio mediatico Vittorio Sgarbi ha contributo a migliorare, ma ora la palla (avvelenata?) passa ai prossimi curatori della 55° Biennale con la speranza che sappiano approfittare di tutta questa aumentata popolarità dimostrandoci che “L’arte non è cosa nostra”.



Pubblicato su; "Juliet" n. 157 April – May 2012


In foto: Due momenti della performance del cantante del complesso “Elio e le storie tese”durante il vernissage del Padiglione Italiano della 55° Biennale di Venezia, Foto opera composizione del manifesto del Padiglione Italiano.