Non solo culi?
Il mio amico avvicinandosi mi indica i quadri con il mento e mi sussurra che sono belli ma non hanno nulla da invidiare a una nostra Accardi. Gli rispondo che è vero ma sono portatori di altri significati e costruiti con altri intenti, ma soprattutto, ci parlano di altre forme e di altri corpi (per la precisione culi, cosce, seni e qualche polpaccio, il tutto ben stilizzato).
Nel frattempo la sala si gonfia e si sgonfia di gente, per fortuna uno dei punti di forza di questo spazio è il bel giardinetto di fronte dove si allestiscono austeri buffé che conciliano le relazioni. Fossero state in mostra anche le opere più brutte del mondo sono arrivati da ogni punto di Roma, nonostante il tempaccio. Questi Britannici pare che siano delle spade (nella roccia?): si dice che non sbaglino un colpo. Cinque quadri cinque, né uno di più né uno di meno; così si allestiscono le mostre, per il resto che dire, le solite facce da cazzo e ne farei fuori un buon 85%, ma poi forse non varrebbe più la pena di fare l’artista visto che spesso si continua a lottare più per coloro che ti odiano che per quelli che ti stimano ai quali sarebbe troppo facile aggrapparsi. Ma quale sarà mai il segreto di queste adunate? Io non m’intendo un gran che di queste cose, ma devo riconoscere che questa coppia di galleristi sa come distinguersi dalla massa uniforme. Lei, infatti, è l’unica a vestire in una sinfonia di colori sgargianti, contrapponendosi ai tristi abiti degli intervenuti, tra i quali predomina ampiamente il nero, il grigio e il marrone di manzoniana memoria. Non mi sfuggono tra la folla un paio di polpacci ben torniti in carne e ossa e su alti tacchi, questi sì che rubano lo sguardo.
Scorgo, inoltre, l’artista del momento: fresca scelta biennalistica che non da segni di spocchiosità ma mantiene una distinta e contenuta gioia che traspare visibilmente dagli impercettibili gesti delle mani, dei piedi e delle sopracciglia. Chissà, un giorno toccherà anche me?
Nel frattempo la sala si gonfia e si sgonfia di gente, per fortuna uno dei punti di forza di questo spazio è il bel giardinetto di fronte dove si allestiscono austeri buffé che conciliano le relazioni. Fossero state in mostra anche le opere più brutte del mondo sono arrivati da ogni punto di Roma, nonostante il tempaccio. Questi Britannici pare che siano delle spade (nella roccia?): si dice che non sbaglino un colpo. Cinque quadri cinque, né uno di più né uno di meno; così si allestiscono le mostre, per il resto che dire, le solite facce da cazzo e ne farei fuori un buon 85%, ma poi forse non varrebbe più la pena di fare l’artista visto che spesso si continua a lottare più per coloro che ti odiano che per quelli che ti stimano ai quali sarebbe troppo facile aggrapparsi. Ma quale sarà mai il segreto di queste adunate? Io non m’intendo un gran che di queste cose, ma devo riconoscere che questa coppia di galleristi sa come distinguersi dalla massa uniforme. Lei, infatti, è l’unica a vestire in una sinfonia di colori sgargianti, contrapponendosi ai tristi abiti degli intervenuti, tra i quali predomina ampiamente il nero, il grigio e il marrone di manzoniana memoria. Non mi sfuggono tra la folla un paio di polpacci ben torniti in carne e ossa e su alti tacchi, questi sì che rubano lo sguardo.
Scorgo, inoltre, l’artista del momento: fresca scelta biennalistica che non da segni di spocchiosità ma mantiene una distinta e contenuta gioia che traspare visibilmente dagli impercettibili gesti delle mani, dei piedi e delle sopracciglia. Chissà, un giorno toccherà anche me?
Pubblicato su; "Juliet" n. 141 February – March 2009
Titolo della 1° foto “Indovina chi dei tre fa l’avvocato? Unico indizio mangia quantità industriali di patatine fritte”.
Le altre foto; figurina di Carla Accardi, spada nella roccia, alti tacchi.
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