venerdì 1 febbraio 2013

Artisticaly correct di Pino Boresta




Ho fatto tutto io


Ho fatto tutto io, faccio tutto io e farò tutto io”. Questo il tentativo disperato di alcuni artisti a metà carriera non gratificati dal sistema economico dell’arte i quali assaliti dall’insicurezza di non riuscire a essere riconosciuti tentano in ogni modo di conferire valore al proprio operato. E allora giù a procacciarsi conferenze, incontri, mostre, interventi, collaborazioni, partecipazioni e ospitate qui e lì e ovunque sia possibile ribadire, dimostrare, con la giusta umiltà che lui è stato il primo, il migliore, il più bravo. L’ho chiamata la sindrome dell’artista mid-career, del resto accadde anche al nostro sommo poeta che scrisse “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la retta via era smarrita”. 


Mi ricordo di un artista italiano che mostrando un vecchio film di due persone che con una corda tesa si muovevano su un terreno arato sosteneva di essere stato l’inventore della Land Art, è stato uno dei primi soggetti affetti da questa sindrome che ho incontrato. Dopo di lui nel tempo ne ho scoperti molti altri. Probabilmente a questa tipologia di artista, dimostrare di aver già pensato tutto loro, li tranquillizza e li mette in condizione di sopravvivere alle continue frustrazioni a cui anche un artista a metà carriera è sottoposto, magari per non essere stato invitato a quella biennale, per essere stato ignorato da quel famoso gallerista o critico o per non godere l’attenzione del tale collezionista. E quindi non contenti e insofferenti su tutto e tutti spesso rimettono mano al passato riesumando opere incomplete che magari neanche ritenevano tali, o lavori che non avevano indagato fino in fondo semplicemente perché qualche artista più giovane sta ricevendo consenso con operazioni simili alle sue e di cui si sente usurpato. Partono cosi aggiranti e striscianti operazioni di delegittimazione nei confronti dell’uno o tal altro artista il tutto ovviamente senza mai fare nomi per apparire sempre political correct. Questi stessi artisti specialmente se famosi non si fanno invece scrupoli quando sono loro a rubacchiare qua e là qualche buona intuizione di artisti meno conosciuti avvalorando così la tesi di chi sostiene che per aver successo in campo artistico non bisogna affidarsi a professionalità e genialità ma bisogna invece mettere in campo astuzia e cinismo sfrenato, osservando e sfruttando l’altrui lavoro.


Pubblicato su; "Juliet" n. 153 June – September 2011

In foto: Opera di land art dell’ artista Mehmet Ali Uysal in the Park Chaudfontaine (Belgium), Dante ritratto, “MERDA” ditelo con i fiori Opera di land art di artista sconosciuto.


Scodificare di Pino Boresta



Tutta colpa di Duchamp

Marco Senaldi ha scritto: “L’arte o manifesta una coscienza critica, o non è. Un’arte non critica non produrrebbe nuovi modi di pensare e di vedere, si limiterebbe ad avvallare l’esistente e non sarebbe arte.” 


Questo vale a mio modo di vedere anche quando la critica è rivolta verso se stessa, pertanto una lotta diretta e continua verso il sistema non incarna la solita sterile lamentela, non rappresenta la solita rivendicazione sociale e non vuole essere un’opera di persuasione, ma in alcuni casi un reale lavoro d’arte. Io credo che per generare il nuovo c’è bisogno di coraggio e voglia di rischiare, gridando al mondo intero i propri intenti. C’è bisogno di un vento d’innovazione per rendere più vivi e veri i luoghi dell’arte. Ci vogliono delle impresa e delle azioni indispensabili e necessarie per correggere un sistema e un mondo dove tutto e terribilmente piatto, scontato, prevedibile e codificato. È giunta l’ora di riconoscere il valore e la diversità di chi si impone fuori dagli schemi contro le leggi codificate del sistema, in forme ed espressioni intellettuali inaspettate, bisogna imparare a conoscerle e a riconoscerle senza aver paura di apprezzarle fino in fondo per quelle che sono e cioè un salto di qualità rispetto a tante altre forme d’arte alquanto ingessate e stantie. Marcel Duchamp l’ha scritto “Il grande artista di domani sarà nella clandestinità” e se lo diceva lui che un pizzico di intuito in queste cose credo gli vada riconosciuto qualcosa di vero dovrà pur esserci, non credete? Infatti, in alcuni casi non essere assorbiti dall’establishment culturale può risultare utile per testare le capacità, il valore e la combattività di un vero artista che spesso è proprio nell’ostracismo e nelle condizioni a lui avverse che trova la forza di superare ogni tipo di difficoltà. 


Questo perché essere relegato e stare ai margini del sistema piuttosto che essere confusi tra la massa uniforme e molteplice degli omologati, allineati e ben coperti del sistema aiuta in alcuni casi a stimolare l’ingegno e la fantasia. C’è anche chi trova tutto questo inattuale, ma pare che sia un complimento visto che c’è chi ha scritto dell’opera di Alighiero: “Il concettualismo di Boetti non è modernista né postmoderno è inattuale”. Per cui come dice John Fante Fallire può essere positivo. Non è una di quelle cose che ti distruggono, ma ti ispirano, spingendoti a continuare. Il fallimento è una sfida a continuare. In un campo in cui gli strumenti sono carta e penna cosa c’è da perdere? Mi piace perdere. C’è sempre da imparare.”


Pubblicato su; "Juliet" n. 152 April – May 2011

In foto: Foto composizione Marco Senaldi, Foto composizione Alighiero Boetti.

Marchio d’artista di Pino Boresta


Ariecco la finanziaria



"Questo tipo d'arte che fa lei ha senso venderla? Se così non è, come fa un artista a sopravvivere?". Questa la domanda di una studentessa americana al termine di un mio incontro tenuto al VIU - Venice International University a Venezia nel 1999 invitato da Kristine Stiles. Se ricordo bene credo di essermela cavata con un "Non posso certo pensare a tutto io", e giù risate. Da quel momento in poi quella domanda incominciò a rimbalzarmi da una parte altra della testa esattamente come nel preistorico videogioco del ping pong della Atari. Purtroppo sempre più spesso gli artisti diventano marchi di fabbrica proprio come avviene per i gruppi finanziari e il valore di un’opera d’arte non è più determinato dal valore del loro operato ma da altri discutibili fattori. Dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose o esiste una possibilità d’inversione di rotta? E se fosse fatta una gestione meno mafiosa e più democratica del reddito nazionale pubblico destinato all’arte? E se fosse evitato l’utilizzo di denaro per la realizzazione di operazioni prive di senso? E se fosse impedito che ci sia una minoranza di persone a gestire le poche risorse destinate all’arte contemporanea? E se fossero evitati sprechi e operazioni prive di senso che non sono certo a favore della comunità artistica? 


Ma ariecco la finanziaria e quel poco, pochissimo del reddito nazionale pubblico destinato all’arte. E puntuali sorgono le solite dispute, contese, polemiche, disamini, lamentele e controversie sulle quali non entrerò in merito pur non riuscendo a capire perché tra i tanti assessorati alla cultura che esistono in Italia sia quasi impossibile trovarne qualcuno che gestisca bene e in maniera trasparente le poche risorse messe a loro disposizione, magari consigliandosi con qualche onesto esperto del settore? Infatti, molti comuni in Italia pensano che aiutare l’arte consista nel mettere al centro di una piazza una scultura spesso orribile come quella piazzata dal comune di Colleferro (cittadina a sud della capitale) in prossimità dell’uscita dell’autostrada e che sono costretto a vedere ogni qual volta ritorno o vado a Roma. La struttura è composta da due archi in travertino, un missile bianco, e un informe pezzo di bronzo su di un piedistallo. Vi giuro che è una delle cose più brutte che abbia mai visto, non conosco l’artista né lo voglio conoscere, ma un giorno di questi notte tempo mi armo di vernice e pennello e sul grosso missile scrivo “Ma quando cazzo parte ‘sta supposta?”

Pubblicato su; "Juliet" n. 151 February – January 2011

In foto: Monumento di Colleferro, Kristine Stiles.

Eccolo! di Pino Boresta



    Il prezzo è giusto?


50 Euro offerti da Laura Palmieri, 120 Euro… 210 Euro…500 Euro offerti da Andrea Bottai, aggiudicato!” Questo è stato l’esito dell’asta a busta chiusa per aggiudicarsi un opera di Fausto Delle Chiaie svoltosi allo studio dell’artista romano Cesare Pietroiusti. In mostra anche il video “La visita guidata è a – pagamento, appagamento nel senso del piacere”, dove Fausto racconta a Cesare che negli anni tra il ’70 e il ’71 faceva il pittore classico copiando Picasso, Braque, Guttuso, poi si è diviso tra scuola di nudo e il ristorante dove lavorava come cameriere e faceva un sacco di disegni che tornando a casa strappava per fare dei collage. 


Dopo il ’71 ha cominciato una ricerca con materiali di recupero che lui chiama “roba informale un po’… come Burri e Fontana”. Nell’89 la nascita del suo “Open Air Museum” tra la chiesa di San Rocco e l’Ara Pacis in piazza Augusto Imperatore a Roma, dove lui fa tutto: il custode, il curatore, l’ideatore e l’opera. Tutto inizia con un unico lavoro sulla povertà e l’emarginazione, a cui seguono tanti altri oggetti in esposizione il cui abbinamento con il titolo li trasforma in opere fantastiche che nascono, come sostiene lui, dalla capacità di essere sempre vigili e presenti. Una di queste è la piccola immagine di Gesù, unica opera esposta già venduta per 30 denari. Anche io in quegli anni comprai per 5000 Lire un suo disegno, ma Fausto, ora come allora, non è lì per guadagnare ma come ama dire lui “Sto qui per dare, non per ricevere”, e io non posso che trovarmi d’accordo perché come dice Riccardo Scamarcio nel film “Mio fratello è figlio unico” “L’arte senza il popolo è un grande pippone a due mani” e l’artista di strada cerca e vuole questo popolo. 


Eccolo! Caro Antonio Presti ho saputo che sei in cerca di un artista che sia libero da questo essere sistema e che abbia trovato il coraggio di affrancarsi dalla limitata condizione creativa che proviene dalla filiera dei critici, galleristi e musei? Vuoi un artista che abbia trovato la forza di riconquistare la sua sacralità rispetto al proprio tempo grazie alla bellezza nell’arte? Aspiri a un artista non toccato dal denaro ma che operi in virtù di un grande atto devozionale verso gli altri? Forse io ne ho trovato uno, ma mi domando… un artista che fa tutto questo a quale prezzo lo fa? Ma soprattutto: il prezzo è giusto?

Pubblicato su; "Juliet" n. 150 December 2010 – January 2011

In foto: Un opera di Fausto Delle Chiaie,  Pablo Picasso – Georges Braque – Renato Gottuso, Fausto Delle Chiaie.

Fortunati errori di Pino Boresta


Questioni di quid

Dove va a finire uno spermatozoo, quando non raggiunge l’ovulo? Probabilmente può finire ovunque. Ma se raggiunge il gamete femminile potrebbe diventare anche un artista di merda e gli artisti di merda non devono per forza avere successo per avere ragione. Lo dice Claudio Morici nell’introduzione del suo libro “Teoria e tecnica dell’artista di merda”. 


Claudio ci ricorda anche che Gregory Bateson ha detto che “I migliori di noi, non sono altro che errori fortunati” e gli editori, le case discografiche, i galleristi non sono dei buoni selettori perché hanno la cultura del progetto nella fase sbagliata del progetto. Inoltre secondo lui non bisogna finanziare solo ricerche che hanno un obiettivo prefissato perché non si può cercare qualcosa di nuovo, quando si sa già cosa si vuole trovare. Morici sostiene che per fare della ricerca seria bisogna finanziare persone che cercano senza sapere cosa stanno cercando partendo da fenomeni incomprensibili e vedere poi che succede.


Agganciandomi a quello che lui sostiene e rimanendo nella metafora scientifica vorrei dire che è altrettanto stupido pensare che le invenzioni siano più importanti delle scoperte visto che da sempre camminano a braccetto e sono imprescindibili l’una all’altra. Infatti, spesso una scoperta da il via a un’invenzione che a sua volta innesca delle scoperte e nuove invenzioni, e così di seguito. Pertanto una società che non tiene in considerazione questo e non investe nella ricerca è destinata a soccombere. Ma i nostri politici riusciranno mai a capirlo? Ora se tentassimo una analogia spostando la questione sul piano artistico considerando l’opera di un artista al pari di un’invenzione e la scoperta lo studio che rende possibile realizzarla, questo non vi suggerisce che ogni opera è la conseguenza dello studio di un artista proprio come l’invenzione è il frutto di qualche scoperta? Qualcuno sostiene che per realizzare delle opere d’arte importanti sia necessaria una profonda conoscenza e che più si conosce l’argomento di cui si tratta maggiori sono le probabilità di fare qualcosa di significativo. Ma io ritengo che molti artisti pur avendo un’ottima preparazione non riescono spesso nell’impresa di compiere qualcosa di interessante proprio perché oltre alla competenza, esperienza e pratica ci vuole il “Quid” il famoso quid del genio senza il quale un uomo, anche se intelligente non diventerà mai un grande artista. E se gli artisti che hanno il quid sono pochi quanti e quali sono i politici che lo possiedono?

Pubblicato su; "Juliet" n. 149 October – November 2010

In foto: Foto composizione con Claudio Morici, Gregory Bateson.



Niente a caso di Pino Boresta



      Il silenzio è d’oro?


Tutto quello che sono riuscito a costruire fino adesso non è il frutto del caso”. Questo è quello che risponde Lucio Battisti in una delle sue proverbiali interviste televisive. La cito perché questa sua affermazione quanto mai vera vale anche oggi per molti artisti. Tempo addietro, comodamente seduti nel giardinetto dell’associazione Zerynthia, ho avuto il piacere e onore di conoscere Mario Merz. Quel giorno era particolarmente in vena di raccontarsi, e ha parlato dei suoi esordi e di quello dell’Arte Povera, il movimento di cui lui è stato sicuramente uno dei componenti di spicco. Ci rivelò quanto in realtà sia stato difficile affermarsi, molto più di quello che si dice oggi. Mario sosteneva di stupirsi come ora tutti parlassero così bene di questo movimento artistico, finanche coloro che agli esordi non la pensavano esattamente cosi, anzi non lesinavano critiche spesso feroci dettate da interessi personali più che obbiettive analisi artistiche. Ci diceva questo dopo aver ascoltato l’intervento di un famoso critico ad alcuni studenti nel quale veniva evidenziata l’importanza dell’Arte Povera nel panorama internazionale, asserendo che lui stesso aveva in qualche modo contribuito a tale successo. Niente di più falso a detta Merz. Io ingenuamente mi permisi di rispondere a Mario che in genere sono le persone intelligenti quelle che hanno il coraggio di cambiare idea, ammettere i propri errori, lui mi rispose “Si, ma….” Beh, quello che mi disse lo terrò per me, ma posso confessarvi che dopo quel giorno ho riesaminato la mia convinzione prendendo amaramente atto che se esistono degli aggettivi è perché qualcuno l’incarna e “opportunismo” è sicuramente uno di questi. Forse qualcuno sosterrà che anche questa volta ho perso un’altra buona occasione per stare zitto, ma da qualche parte qualcuno non ha detto che il silenzio è mafioso? Io invece domando a voi “ma tutto questo silenzio dove va finire?” pure Giorgia (la cantante) è curiosa di saperlo.



A domanda rispondo: Mi avvalgo spesso di citazioni da testi di canzoni perché penso che il senso della rivelazione di molte verità potrebbe essere contenuto proprio tra le parole di questi come rivela Philip K. Dick nel suo libro “Valis” e io non voglio correre il rischio di non considerare questa eventualità.

Pubblicato su; "Juliet" n. 145 December 2009 – January 2010

In foto:  Mario Merz, Foto composizione con Lucio Battisti - Giorgia - Philip K. Dick.


L’alternativa esiste di Pino Boresta



Solo verità a se stessi


Ciao Paola, lo sai che da quando ho ricevuto e-mail con la notizia della tua morte di continuo tento di calarmi nel dolore da te provato? Un dolore, il tuo, che ti ha portato a quel gesto senza rimedio. Un tentativo, il mio che si sforza di afferrarne i motivi, consapevole che non vi riuscirò mai, in quanto ognuno può comprendere a pieno solo il proprio dolore. Non ho mai saputo totalmente cosa tu abbia scritto nelle 4 pagine che hai lasciato, ma se tra le cause vi fosse realmente una storia d’amore finita avrei voluto poterti dire prima di oggi parole scontate, ma certe, come: “Non è questa la soluzione giusta”. Io so che tu sapevi bene che gli altri, pur con i loro difetti, mancanze ed errori sono sempre molto importanti per noi, tu sapevi (come lo so io) che è inutile negare questa verità a se stessi, tu sapevi che non era quello il modo di vincere il dolore, l’insoddisfazione, l’inadeguatezza che vivevi, ma non hai avuto il coraggio di ricordarlo a te stessa proprio nel momento più importante. Io ti rimprovero, perché se è vero che hai scritto che non volevi essere salvata, e chiedi scusa ai tuoi genitori, anche i tuoi amici hanno il diritto di sentirsi in colpa. Bisogna trovare il coraggio di superare l’orgoglio che spesso ci impedisce di andare oltre l’autocommiserazione e accettare l’aiuto degli altri. Perché come dice Mika Hannula “C’è sempre una scelta, c’è sempre un’alternativa. C’è sempre una speranza e qualcuno a cui raccontarsi per sentirsi un po’ meno soli e smarriti”. 



Avresti così capito che non valeva la pena di fare quello che hai fatto. Tu avevi il dovere di combattere nel rispetto di te stessa e di quei genitori che amavi e di tutti coloro che ti volevano bene, noi il dovere di aiutarti. Peraltro io non ho ancora capito, se, o quanto in tutto questo, fosse colpevole anche la comunità alla quale tu eri più vicina come quella dell’arte contemporanea, ma qualsiasi strumentalizzazione in questo senso è rischiosa e va sicuramente evitata. Cara Paola Magni, anche se tardi permettimi di ricordarti con queste mie poche stupide e lacere righe che stonano e stridono.


Pubblicato su; "Juliet" n. 144 October – November 2009

In foto: Foto composizione con foto di Paola Magni, Mika Hannula.