Ariecco
la finanziaria
"Questo
tipo d'arte che fa lei ha senso venderla? Se così non è, come fa un
artista a sopravvivere?". Questa la domanda di una studentessa
americana al termine di un mio incontro tenuto al VIU - Venice
International University a Venezia nel 1999 invitato da Kristine
Stiles. Se ricordo bene credo di essermela cavata con un "Non
posso certo pensare a tutto io", e
giù risate. Da quel momento in poi quella domanda incominciò a
rimbalzarmi da una parte altra della testa esattamente come nel
preistorico videogioco del ping pong della Atari. Purtroppo sempre
più spesso gli artisti diventano marchi di fabbrica proprio come
avviene per i gruppi finanziari e il valore di un’opera d’arte
non è più determinato dal valore del loro operato ma da altri
discutibili fattori. Dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose o
esiste una possibilità d’inversione di rotta? E se fosse fatta una
gestione meno mafiosa e più democratica del reddito nazionale
pubblico destinato all’arte? E se fosse evitato l’utilizzo di
denaro per la realizzazione di operazioni prive di senso? E se fosse
impedito che ci sia una minoranza di persone a gestire le poche
risorse destinate all’arte contemporanea? E se fossero evitati
sprechi e operazioni prive di senso che non sono certo a favore della
comunità artistica?
Ma ariecco la finanziaria e quel poco,
pochissimo del reddito nazionale pubblico destinato all’arte. E
puntuali sorgono le solite dispute, contese, polemiche, disamini,
lamentele e controversie sulle quali non entrerò in merito pur non
riuscendo a capire perché tra i tanti assessorati alla cultura che
esistono in Italia sia quasi impossibile trovarne qualcuno che
gestisca bene e in maniera trasparente le poche risorse messe a loro
disposizione, magari consigliandosi con qualche onesto esperto del
settore? Infatti, molti comuni in Italia pensano che aiutare l’arte
consista nel mettere al centro di una piazza una scultura spesso
orribile come quella piazzata dal comune di Colleferro (cittadina a
sud della capitale) in prossimità dell’uscita dell’autostrada e
che sono costretto a vedere ogni qual volta ritorno o vado a Roma. La
struttura è composta da due archi in travertino, un missile bianco,
e un informe pezzo di bronzo su di un piedistallo. Vi giuro che è
una delle cose più brutte che abbia mai visto, non conosco l’artista
né lo voglio conoscere, ma un giorno di questi notte tempo mi armo
di vernice e pennello e sul grosso missile scrivo “Ma quando cazzo
parte ‘sta supposta?”
Pubblicato
su; "Juliet" n. 151 February – January 2011
In foto:
Monumento di Colleferro, Kristine Stiles.
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