Scusi, lei è Pino Boresta?
"Come faccio a spiegare a mia madre che quello che faccio serve a qualcosa"
Quale artista non se l’è domandato, vedendo lo sguardo perplesso della mamma davanti ad una tela imbrattata di colore o sentendo i progetti strampalati del figlio!
"Ma non potevi fare l’avvocato, l’ingegnere, il dottore?" Indubbiamente sono mestieri che assicurano il pane. Ma, come si può porre un freno al fuoco fantasioso dell’arte, non solo dipinta, ma "situazionista"?
Ne abbiamo parlato con Pino Boresta, artista dei mille festosi colori, di scena al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università "La Sapienza" di Roma. Oggi doppia inaugurazione: al piano terra, "Artisti & Co.", con molti ritratti variopinti di personaggi del mondo dell’arte ed uno speciale lavoro a sorpresa di Pino intitolato "Testamenti"; Dopo una veloce occhiata alla sala, mentre gli ospiti si affaccendano attorno al buffet, scorgo un ometto che non può non essere un artista: è vestito di grigio ma ha al collo uno spiccante foulard rosso a fantasia.
Mi avvicino:
"Scusi, lei è Pino Boresta?"
"Si."
"Posso farle qualche domanda?"
Il cervello mi si inceppa. Torno con la memoria ai quadri al piano di sotto: ritratti ad olio di artisti, critici e personalità del mondo dell’arte, ognuno dei quali caratterizzato, oltre che da tutti i guizzanti colori dell’arcobaleno, dal proprio nome, cognome e da un numero, scritti in basso in nero non col pennello. Non si può parlare di Espressionismo, perché i colori sarebbero più cupi. Questa è allegria allo stato puro, che a mio avviso caratterizza il super-creativo mondo dell’arte. Tra i tanti personaggi, c’è il ritratto della Professoressa Simonetta Lux, numero 244, con i capelli sparati in tutte le tonalità del giallo, bianco e nero; c’è Eva Marisaldi, numero 247, che guarda in basso, con il volto verde, rosa, giallo su un fondo di solidi geometrici. Non c’è un colore uguale ad un altro o una tonalità dominante; c’è Oleg Kulik, numero 238, con le due file di denti ben in vista ed il fondo a strisce colorate che si disegna attorno alla sua testa; c’è il numero 35, Cesare Pietroiusti, nel cui volto confuso dalla profusione di colori si notano solo gli occhi neri sbarrati. Di fronte, i misteriosi "Testamenti", su cui Pino ha voluto mantenere il più assoluto silenzio fino all’inaugurazione della mostra: tante piccole tele tutte uguali su cui sono stati impressi, attraverso il computer, caratteri grafici vari e variopinti che riprendono i colori dei quadri e che compongono, appunto, il testamento artistico del Sig. Pino Boresta. Ad esempio, una frase dice: "Questo quadro diverrà opera d’arte a tutti gli effetti solo se avallato da Achille Bonito Oliva". E la "A" di Achille è ricamata a mano con un filo di lana grossa. Oppure: "Questo quadro deve essere considerato opera d’arte solo fino al 30 dicembre 2081. Dopo tale data dovrà essere bruciato".
Mi viene in mente una frase da dire: "Certo che i Testamenti sono scritti come fossero le lettere minatorie di un serial killer, che prende le sillabe dalle riviste per non farsi scoprire dalla polizia..."
Che esordio. Pino si mette a ridere.
"Beh, ho voluto che fossero molto colorati, i colori mi piacciono molto. Ho giocato e ironizzato sul significato di opera d’arte, sulle modalità attraverso cui un’opera viene consacrata o declassata, sui limiti intellettuali del nostro mondo un po' elitario. Ci sono tanti altri quadri che non ho portato oggi, che dicono, ad esempio: "Questo quadro verrà considerato opera d’arte solo quando sarà acquistato da un macellaio"...la frase si spiega da sola." "Parlami dei ritratti. Come mai sono numerati come fossero le figurine di un album o le foto di un particolare archivio?" Chiedo.
"Perché è quello che sono", risponde Pino. E qui segue una storia molto interessante:
"Qualche anno fa, a Paliano, vicino Roma, io ed alcuni amici, grazie alla collaborazione del sindaco, abbiamo organizzato una residenza estiva per artisti, curatori d’arte e critici. L’abbiamo chiamata "Oreste". Passavamo le giornate a presentare i nostri lavori, a parlare dei progetti, a realizzare nuove idee e poi, dato che era estate, a fare bagni su bagni in piscina e scampagnate nei dintorni. Sono nate amicizie, amori, collaborazioni.
E meno male che c’è stata questa idea, perché in Italia, se le iniziative non partono dagli artisti stessi, non si combinerebbe proprio niente. Da questa esperienza è nato il mio progetto di organizzare l’A.Q.P.A.C., ovvero un Archivio Quadrografico dei Personaggi dell’Arte Contemporanea: ho fotografato tutti gli ospiti di Oreste di quell’anno e dei successivi, perché poi l’iniziativa si è ripetuta, e ne ho fatto un album di figurine come quello dei calciatori. Poi, ho deciso di farne anche dei quadri perché, sai com’è, tra pittura e fotografia c’è sempre una bella differenza...per ora ce ne sono una trentina. E continuerò a dipingere perché le foto sono ancora tante, l’Archivio dovrà arricchirsi sempre più...certo...dipingerò finché reggo!" Dietro Pino fa capolino una bellissima bambina bruna, con due grandi occhioni ed un visetto vispo:
"E tu chi sei?" domando con voce scherzosa "Questa è mia figlia", dice Pino con un certo orgoglio. Si chiama Soele. E quando le chiedo se da grande anche lei farà l’artista come papà, nascondendosi timidamente mi risponde, giustamente:
"Non lo so..." "La prima esperienza di Oreste", continua Pino, "è diventata un libro ed un convegno tenutosi a Bologna che abbiamo chiamato ‘Come faccio a spiegare a mia madre che quello che faccio serve a qualcosa’. E’ proprio li che ha preso avvio il progetto dell’A.Q.P.A.C." E’ stata proprio una gran bella iniziativa. Me lo sono immaginato questa sorta di happening privato in cui un nutrito gruppo di artisti si è trovato a confrontarsi e a discutere di arte, e lo vedo proprio come un esplosione di colore, come i ritratti realizzati da Pino, nati da una certa "situazione".
Tutto questo non poteva far altro che lasciare un’impronta duratura.
"Reazioni del pubblico?" E’ l’ultima domanda. "Positive e negative" mi risponde Pino "Ma è bene che ci siano punti di vista diversi, se no a che serve fare le mostre? Ad esempio, alcuni hanno trovato nei Testamenti delle discriminazioni, perché in uno ho scritto: "Questo quadro dovrà essere considerato..eccetera..eccetera...solo quando sarà acquistato da un omosessuale". Il mio voleva essere un omaggio, non una provocazione. Ah, lo sai che giù abbiamo messo una macchina fotografica per dare la possibilità al pubblico di entrare a far parte del nostro Archivio? Vai a farti la foto!"
Già fatto. Non me lo sono certo fatto dire due volte. Lo ringrazio e lo saluto.
Susanna Bianchini
Testo scritto a seguito della personale "Artisti & Co. ", al MLAC - Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza, Roma nel 2003In foto; volantino Situazionista, io e il mio foulard (foto di R. Paiella), 2 ritratti 2 testamenti 1 macellaio, bustina originale delle figurine dell’Album di Oreste Uno, due momenti della residenza divenuti anche figurine, foto di Susanna Bianchini in archivio AQPAC.