20/02/2021
Boresta, sarà lui la nuova avanguardia?
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Roma 2021 |
Chi entra per la prima volta in una galleria dove si
espongono le opere di Boresta, sa che deve spogliarsi delle convenzioni
tradizionali che caratterizzano l’approccio a qualsiasi tipo di mostra. Le sue esposizioni
sono una scoperta continua del nuovo ma anche del familiare, visto che l’Arte è
un distruggere l’ortodossia per crearne una nuova. Su questo percorso si
incrocia questo artista, la cui sperimentazione coinvolge sé stesso e il
pubblico.
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Londra 1988 |
Classe 1962, romano di nascita lavora a Segni. La sua
produzione, anche se con l’andare del tempo risulta sempre più rivoluzionaria,
risente di esperienze giovanili, di quando a Firenze, durante il servizio
militare rimaneva per ore ad osservare i ritrattisti di strada, che chissà se
come lui, erano imbevuti delle immagini dei grandi artisti rinascimentali. Il
primo exploit creativo è Londra, dove recepisce le sollecitazioni artistiche e
morali che creano in lui il mondo interiore che sente la necessità di condividere
con gli altri. Nascono così “i tovaglioli” frutto anche dei corsi di life
drawing organizzati nelle varie gallerie; l’impulso scaturisce però sempre da
dentro con la necessità di dire la propria. Boresta dice: “Ad un certo punto
oltre a studiare e parlare ho iniziato a fare ed allora ho iniziato a seguire
l’istinto, quello che sentivo dentro, forse dovuto anche al mio bagaglio
culturale ancora grezzo.” Come materiale di base si ritrova i tovaglioli, visto
che per vivere fa il cameriere in hotel e ristoranti. Quello che doveva servire
per pulire i pennelli diviene la sua tela.
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Roma 2021 |
Su di essi si susseguono soggetti di vario tipo (paesaggi,
animali, visi, donne) «nei quali la gestualità e l’immediatezza nella
realizzazione sono di fondamentale importanza, in quanto solo la stesura veloce
con la spatola della vasta gamma dei colori disponibile rende possibile un
miscuglio colorato, nella quale si può distinguere agevolmente l’oggetto
dell’opera non del tutto disfatto od annientato dalla componente astratta»
(http://pinoboresta.blogspot.com/2011/08/1993-stefania-di-mitri.html). Le immagini
sono definite da un segno netto e scuro, non proprio il classico lavoro dei
pennelli.
La spatola, le mani ed oggetti di fortuna sono i mezzi per
rappresentare le sue inquietudini. L’esperienza londinese si alterna con
ritorni in Italia, dove poi si stabilirà continuando la sua esperienza
creativa. Realizza gli “Scratch Colors” (colori graffiati) utilizzando la
spatola che più del pennello costituisce il mezzo con cui rappresentare
l’urgenza che sente dentro e che si manifesta con i graffi sulle tele. Si
ispira a Kokoschka, Soutine, Rouault, Schiele, Klimt e Kirchner con cui si
sente in sintonia accomunato dallo stesso spirito di ricerca espressiva.
Sente ora la maturità per dare forma all’esigenza della
necessità di un ritorno alle origini. Sfrutta la scoperta del popolo dei Nuba a
cui si ispira per rappresentare la verginità di un popolo non ancora
condizionato dalla ritualità del vivere civile.
“Un giorno trovai un bel libro a Londra intitolato The last
of Nuba, prettamente fotografico, lo comprai. Cominciai a copiare le immagini,
i colori delle terre (terra d’ombra, terra d’ombra bruciata, terra di Siena,
terra di Siena bruciata) erano già pronte, e poi gli ocra i vari gialli, erano
anche loro già pronti nei tubetti. Riuscivo a riprodurre la carnagione degli
africani nella maniera più semplice. La mia esigenza era frenetica, sentivo di
volermi confrontare con il colore, ero molto incuriosito da queste tribù, dai
loro riti e dalle loro immagini: infatti seguivo molto i documentari. È stato
uno dei miei primi approcci nei confronti della pittura e nella stesura del
colore.”
Le “Sinfonie” rimandano all’Espressionismo Astratto
americano. A Londra ha la possibilità di poter assistere ai concerti di musica
classica, alla quale si appassiona. Compra le cassette nei grandi negozi di
musica, dove acquista soprattutto Mozart, Beethoven e Bach. “Mentre ero nella
mia stanza e dipingevo, ascoltavo questa musica; ad un certo punto mi sono
accorto che gli accostamenti di colore verticale avevano un movimento che
sembravano seguire questa musica e allora ho deciso di chiamarle Sinfonie. Queste
ultime alcune volte venivano realizzate in forma astratta altre volte venivano
all’interno di sagome del mio corpo. La tecnica utilizzata erano i colori puri
dei tubetti oppure mentre portavo avanti altri lavori, il colore che avanzava
lo utilizzavo per fare le altre opere.”
Nelle “Sinfonie” vi è una stesura del colore spalmato con
più calma e dove Boresta cerca di accostare i colori ubbidendo al suo istinto e
alla sua sensibilità, creando così accostamenti cangianti più o meno piacevoli
di forme verticali. Emerge così la fusione e la confusione dei colori, le ombre
ricche di colore che rappresentano la nascita di un uomo nuovo e della
coscienza ritrovata del sociale.
Nel 1991, dopo una ricerca sui collages più celebri,
realizza gli “Art Collages” dove l’artista si sofferma sui lati ombrosi e
romantici della pittura rinascimentale congeniale in questo periodo. Boresta
realizza nuove creazioni su una base di fogli di giornale, spesso con i fogli
delle terze pagine che sono dedicate ai pittori che ama. In seguito, il foglio
viene incollato sul cartone grezzo, dove l’artista sovrappone inserti di quadri
noti e particolari. In questo modo nascono «dei collages nei collages» (http://pinoboresta.blogspot.com/2011/08/1993-stefania-di-mitri.html).
L’amicizia negli ultimi anni con Flavio Favelli conosciuto a
Pescara durante una mostra organizzata a Pescara da Cesare Manzo ed a cura di
Laura Cherubini gli consente di stringere un rapporto fondato su una
sensibilità comune nei confronti dell’arte e del mondo circostante. Boresta a
proposito di Favelli racconta: “Nel tempo ho notato che ci sono dei lavori che
sono nati dalla stessa necessità e dalla stessa attenzione e dagli stessi punti
di vista.”
Martina Mettimano
Pubblicato sul sito di MICRO Arti Visive
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