lunedì 27 gennaio 2025

Un artista che non ti aspetti

26/03/2021

Pino Boresta L’artista Che Non Ti Aspetti Eclettico e poliedrico artista, outsider del mondo dell'arte contemporanea, in un'intervista per la sua personale "Il Boresta che non ti aspetti" al Micro di Roma, fino al prossimo novembre.
















Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Pino Boresta, artista eclettico e vulcanico, in mostra al Micro di Paola Valori, con la personale “Il Boresta che non ti aspetti!”, fino al prossimo novembre, sei mesi non solo di mostra, di performance e di appuntamenti, che lo vedono anche in veste di artista-cameriere speciale in “Serve! Boresta”, ho voluto tempestarlo di domande sulla sua arte, sul suo percorso artistico e, in generale, sul mondo dell’arte contemporanea.

Pino Boresta, sei mesi di mostra “Il Boresta che non ti aspetti” al Micro, un progetto molto ambizioso, come nasce?

Questo è progetto che avevo in testa da molto tempo, perché volevo trovare il modo di presentare e valorizzare alcuni momenti importanti del mio lavoro artistico. Un’idea che si è poi concretizzata quando ho incontrato dopo molti anni la mia amica Paola Valori anche lei coinvolta in prima linea all’interno di questo sfavillante mondo dell’arte. Ci siamo immediatamente detti che prima o poi avremmo dovuto fare qualcosa insieme. Paola ha dimostrato fin da subito un sincero interesse nei confronti del mio lavoro artistico, forse un po’ atipico per i suoi gusti, ma ho percepito che in qualche modo aveva seguito nel tempo la mia ricerca e quindi il suo interesse, al di là della nostra amicizia, era autentico. Così alla prima occasione non ci siamo fatti sfuggire la possibilità. Abbiamo poi trovato la quadra perfetta nel momento in cui ho pensato che potesse essere Raffaele Gavarro il curatore che ci avrebbe potuto affiancare ed aiutare in questa audace avventura, e non poteva essere diversamente vista la sua professionalità e la reciproca stima che ci lega da lunga data. Poi le ciliegine sulla torta sono state tutte le ragazze ed assistenti di Paola: Francesca, Martina, Carolina, Sara, Natascia, Arianna, Karla e Patrizia, che collaborano con noi in questo impegnativo progetto.

Negli appuntamenti di marzo “Serve! Boresta” serve a tavola personaggi del mondo della cultura romana, un flashback nel suo passato a Londra?

Si! Ho pensato di mettere in piedi questa performance memore di quello che è stato uno dei miei primi mestieri “il cameriere” che avevo iniziato già a fare dopo essermi diplomato per guadagnare un po’ di soldi per i miei viaggi. Uno dei quali mi ha portato a Londra per imparare la lingua e dove per sostentarmi ho continuato a fare. Un lavoro per noi italiani all’estero, che era sicuramente uno dei più facili che si poteva trovare allora e forse pure oggi.

Siamo tutti molto contenti di questa performance perché la sua peculiarità ne sta determinando il successo oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Credo che questo sia dovuto all’accuratezza che abbiamo posto nei dettagli e dall’inusuale situazione che si viene a creare. Infatti, tutti gli invitati dopo aver confermato la loro presenza, riceveranno a casa un invito cartaceo nominale (usanza ormai scomparsa nell’era del digitale ma da noi ripristinata creativamente) da presentare e consegnare al loro arrivo in galleria, e che ritireranno come ricordo firmata dall’artista quando andranno via. Inoltre, non succede tutti i giorni di mangiare all’interno di una galleria circondati da opere d’arte fatte su tovaglioli come quelli che si hanno sulle proprie ginocchia e serviti da un cameriere che è anche l’artista che ha realizzato più di 30 anni prima quegli stessi quadri appesi alle pareti. Aggiungete a questo l’elegante e preziosa mise an place di proprietà della titolare della galleria, la singolare composizione floreale del centro tavola realizzata da Marzia Taurino, il ricercato menu di alta cucina preparato dallo chef stellato Maura Pierangelini, i raffinati vini serviti dal qualificato sommelier Ettore Aimi e “Il pranzo è servito”. Oltre tutto, essendo un pranzo al buio, vi è la sorpresa di trovarsi a tavola con persone che non si conoscono o che magari si conoscono ma mai ci si sarebbe aspettati di trovare lì. A tutto questo aggiungete il fatto che: non solo siete immersi in un’opera d’arte, ma fate parte dell’opera stessa, anche perché alla fine del pranzo i tovaglioli di tutti i commensali, grazie alla loro presenza, diventeranno opere uniche ed esclusive, e chi sa? potrebbero passare nei libri di storia dell’arte? Mi suggeriscono di volare basso perché mi dicono che le mie ali sono fatte ancora di cera, va bene… speriamo allora che un domani mi spuntino quelle vere come ad Angelo degli X-Men.

Londra 1988













Roma 2021

















Da appassionato d'arte quanto sareste disposti a sborsare per un’opera d’arte? E quanto se invece si trattasse di un qualcosa che esiste solamente sotto forma di asset digitale? Qualcuno gli ha staccato un assegno dall’importo pari a 69,3 milioni di dollari per “EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS, 2021” di Beeple, all’anagrafe Mike Winkelmann troppo poco? Troppo alto? L'arte digitale è il futuro?

Ho riflettuto più volte su questa faccenda del mercato dell’arte, e trovo ridicolo che gli artisti che il più delle volte vivono e muoiono in povertà, sono coloro che in realtà, non solo creano e producono ricchezza ma la sfamano. Gli artisti con le loro mani, con le loro storie e le loro idee danno origine a quella ricchezza che diventa spesso bene rifugio per un ristretto gruppo di abbienti che ha bisogno di diversificare i propri investimenti. Spesso gli artisti sono solo lo strumento per produrre e mettere in circolazione del valore capitale. Un valore variabile rappresentato dalle loro opere, come fossero una sorta di zecca che batte moneta e la mette in circolazione. Ma mentre il valore della moneta lo fa lo stato sulla pelle dei cittadini, quello delle opere, cioè il loro controvalore, è sulla pelle dell’artista, e l’arte digitale non cambierà le cose. Per cui No! l’arte digitale non è il futuro, anzi, penso che sia già vecchia, e può trovare la sua salvezza solo se trova alleati in altre forme d’arte.

Lei si considera un'artista che vive la contraddizione fra l'essere e il fare?

Direi proprio di sì, frequentando da molti anni le fiere d’arte, ho come l’impressione (e non dico niente di nuovo) che molti degli avventori: benestanti, ricchi e collezionisti, comprino opere d’arte non per il valore intrinseco che queste rivestono intellettualmente o artisticamente, ma solo a fine speculativo, come potenziale bene d’investimento economico. Questo fa sì che i frequentatori delle fiere, il più delle volte non siano alla ricerca dell’artista di sicuro valore in virtù del suo lavoro, ma piuttosto dell’artista anche mediocre, che gli garantisce un investimento sicuro. Grazie a dio, la storia ci insegna che questo tipo di speculazioni falliscono il 95% delle volte se non vi è un reale interesse e amore per l’arte, neanche lo screening più accurato farà scoprire al collezionista di turno la verità, perché la verità non va scoperta ma va cercata. Pertanto, solo coloro che ben conoscono il sistema dell’arte, le sue insidie, i suoi inganni, ma anche i suoi pregi e tutto quello che di nascosto vi è tra le pieghe sottili dell’Art System, potrà realmente avvantaggiarsi e fare buoni affari, spesso alla faccia dei cento babbei che cascano nelle grinfie dei soliti spregiudicati mestieranti.


ph Giorgio Benni


Tutti pensano di sapere cosa sia esattamente l’arte contemporanea, ma spesso questa definizione viene usata a sproposito e su alcuni grandi artisti e le loro opere persistono pregiudizi e credenze profondamente errati: lei come si contraddistingue come artista nell'era moderna?

Il problema non sono i pregiudizi sugli artisti, il problema spesso sono gli artisti stessi. Quanti artisti (senza che mi metta qui a fare i soliti nomi che sono stufo di ripetere ogni volta) pensano di giocare con l’arte o con il sistema dell’arte, quando in realtà è il sistema dell’arte che gioca con loro, facendogli credere di essere grandi artisti solo perché le loro opere vengono comprate a milioni di euro o dollari. Io credo che ai più intelligenti di questi, sia venuto sicuramente il dubbio, di essere in realtà solo pedine funzionali al sistema capitalistico ormai globalmente riconosciuto vincente.

Del resto, il sistema economico mondiale movimenta enormi capitali economici sempre più ingenti; ed oro, platino, diamanti ecc. non sono più in grado di supportarne il controvalore. Per cui, così come in passato, si pensò, per necessità e comodità, di sostituire alla circolazione delle monete d’oro o d’argento delle semplici banconote, che avessero il loro controvalore nelle casseforti degli Stati sovrani, qualcuno ha pensato ad un certo punto, visto che intorno all’arte giravano un sacco di soldi, di adoperare come controvalore alle banconote le opere d’arte degli artisti. Ma qua sorge il problema: mentre l’oro ha un valore che può fluttuare ma è più o meno stabile e garantito, così come avviene per i titoli quotati in Borsa anche le opere d’arte non hanno garanzie certe, specialmente se sono opere d’arte contemporanea. È stato a questo punto che qualcuno nel tentativo di garantire un controvalore certo, o almeno di una certa sicurezza, si è inventato il sistema dell’arte. È così che nasce il S.E.C.A. quello che io chiamo il: Sistema Economico Commerciale dell’Arte che sarà oggetto di un mio prossimo progetto artistico Top Secret.

Purtroppo, questo sistema si è dimostrato e si dimostra spesso fallace, così come avvenne per la bolla dei tulipani in Olanda. Le troppe decisioni avventate, spesso prese a tavolino con motivazioni puramente commerciali e di comodo, ne causa la sua fragilità. Per questo siamo ancora qui tutti a domandarci: Quali devono essere i fattori che determinano il valore di un’opera? La Gioconda sarebbe divenuta così preziosa se non fosse mai stata rubata? Chi decide cosa e quanto deve valere una determinata opera d’arte? Chi decide quale artista deve essere più importante di altri, e quindi le sue opere devono costare più di quelle di altri? Coloro che decidono conoscono e tengono conto del percorso artistico di un artista? Coloro che decidono considerano importante il valore sociale, spirituale, intellettuale, storico e artistico di un’opera d’arte? Purtroppo, a molti tutto questo non interessa, a molti interessa solo che abbiano un reale controvalore commerciale, possibilmente il più stabile possibile.

Accade così, che certi artisti, se ancora in vita, ripagati oltre che economicamente anche con qualche piccola o grande gratificazione qui e lì, diventino una sorta di zecca che produce opere di vario formato e foggia (non importa se siano banane, stencil, sculturine scopiazzate) che vengono usate come controvalore per enormi transazioni economiche, sostituendo la carta moneta o altre forme di scambio. Questi artisti sono ignari di fare parte di tutto questo che rischia di diventare un grande bluff? Questi artisti sono coscienti che stanno alimentando una pratica che si sta sempre più consolidando? Né è la prova il fatto che si possono trovare opere importanti del passato che vengono vendute e stimate a prezzi irrisori, in confronto a molte opere d’arte contemporanea di dubbio valore, vendute a prezzi inauditi. Allora mi chiedo: e da qui che nasce il bisogno di mitizzare e rendere famosi certi artisti, per celebrare le loro opere sugli altari delle case d’aste più importanti al mondo?

Essere artista in qualche modo l'ha salvata da una vita precaria e piatta; usa l’arte per capire qual è il suo posto nel mondo?

Alla luce delle mie risposte precedenti credo avrai capito che, sono ancora in fase di analisi, e più che un salvato mi sento un sopravvissuto dei sommersi.

Com’è nata la sua passione per l’arte?

In realtà non vi è un momento in cui ho deciso che volevo fare l’artista, quello che ho fatto è incominciare a disegnare e dipingere, ma ad un certo punto ho capito che avevo trovato la strada, la mia strada. Ora quello che dovevo fare era mettere dentro la mia testa la maggiore quantità possibile d’informazioni, il resto lo avrebbe fatto il mio cervello che non era certo peggiore né migliore di tanti altri. Dopo di che la missione consisteva nel mettermi in ascolto dei suggerimenti e indicazioni che venivano prodotte dai miei pensieri; analizzarli, valutarli, e quindi decidere cosa fare o cosa non fare. È a questo punto che entra in gioco l’intuizione bergsoniana, che ho scoperto già allora, ma che continuo a coltivare e affinare sempre di più.

Si è sempre definito un autodidatta dell’arte, secondo lei è stato un bene o è stato penalizzante non seguire nessun indirizzo accademico di settore?

No! Forse è stato un bene, almeno da quello che sento dire da chi le ha frequentate o da chi si è posto il problema più di quanto abbia fatto io. A ogni modo credo che la differenza la faccia poi la forza di volontà, la voglia di studiare e cercare di crescere ogni giorno cercando di capire sempre meglio quello che ci circonda. Ormai sappiamo bene tutti che oggigiorno essere e fare gli artisti non significa saper disegnare bene o essere dei bravi pittori o scultori. In un’era complessa e in continua evoluzione, come quella che stiamo vivendo, fare l’artista è diventato qualcosa di più articolato e probabilmente completamente diverso da quello era una volta.

È sempre stato considerato un outsider del mondo dell’arte, questa cosa lo ha penalizzato nel circuito dell’arte contemporanea italiana?

Mi accorgo adesso che mi stai dando del lei, ti prego dammi del tu, anche perché non credo sia mai stato dato del lei a un outsider e non voglio di certo essere io il primo.

Detto questo se ognuno di noi avesse la certezza che di fronte a ogni problema che la vita gli pone davanti riuscirà sicuramente a superarlo, forse la vita risulterebbe noiosa. Bisogna affrontare la vita con la consapevolezza che ogni ostacolo che si presenterà nel corso dell’esistenza è possibile superarlo ma se l’ostacolo è troppo alto bisogna aggirarlo, oppure avere la saggezza di sapere aspettare e comunque trovare il modo di andare avanti. Io credo che ognuno di noi debba vivere ogni giorno della propria esistenza come una sfida, se ci si rifiuta di affrontare le sfide che la vita ci pone, abbiamo perso in partenza e si diventa schiavi degli eventi. Vivremmo come quei drogati che decidono di vivere in uno stato di annullamento del pensiero perché non sanno quello che vogliono, incapaci di pianificare un disegno e tentare di raggiungerlo, vogliono solo godere ogni attimo di vita procurandosi una falsa felicità imperitura. Certo si può vivere cercando una pace interiore, evitando di imbarcarsi in progetti ed avventure rischiose, ma non sarebbe un po’ come rinunciare ad amare ed a essere amati? Allora tanto varrebbe rinchiudersi in un monastero ed evitare così tutti quei pericoli che vivendo una vita piena si corre il rischio d’incontrare.

Come hai vissuto il lockdown del 2020 e come stai vivendo questo ulteriore di marzo 2021? La tua attività creativa ha subito una battuta d’arresto? (Da notare che ti sto dando del tu…)

Da più parti nel mondo dell’arte capita sempre più spesso di domandarsi se: “L’esperienza può essere un’opera d’arte?”, io questo non lo so e lascio il dibattito agli esperti. Ma dopo aver partecipato con una mia incursione semiclandestina al programma di Max Giusti “Chi ti conosce?” (https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/09/pino-boresta-televisione/) ho capito ancora di più l’importanza di indagare questo campo d’azione come nuova forma d’arte e credo che questa pandemia e questi ripetuti lockdown ci stiano insegnando e facendo capire quanto questo sia necessario. Molti artisti si stanno orientando in questo senso ed anche il pranzo della performance “Serve! Boresta” oltre ad essere un’azione di Arte Relazionale è una manifestazione artistica dove l’esperienza fa da padrona e in qualche modo viene esposta e studiata. Il dinamismo di un vero artista non si fa certo intimorire da qualche breve periodo di isolamento. Un artista ha sempre qualche opera e qualche progetto incompiuto da terminare, se poi è uno a cui piace anche scrivere, le giornate passano più veloci di quanto uno possa immaginare.

Come definisci la tua arte?

Ho fatto nel tempo talmente tante di quelle sperimentazioni e ricerche artistiche che non credo riuscirei a trovare una definizione che le possa comprendere tutte, ma se penso alla mia storia d’artista potrei forse definirla: un’arte ribelle, di barricata, di protesta, di contestazione e contrapposizione, un’arte clandestina, un’arte situazionista, un’arte relazionale, un’arte fatta nelle strade, un’arte arrabbiata di dissenso, ma fatta anche di amore, di pietà, di attenzione all’altro e di ricerca dell’altro. L’arte è la mia vita e ci sono dentro con tutte le scarpe, lascerò pertanto che sia qualcun altro a dire cosa è stato quello che ho fatto, perché il quadro quando lo vivi da dentro perdi la possibilità di capire quello che avresti potuto comprendere guardandolo dall’esterno.


Quali sono gli artisti che apprezzi maggiormente nel panorama italiano ed internazionale?

Alcuni di questi li ho invitati a partecipare a questo mio progetto. Ogni ultima settimana delle sei diverse mostre, un artista con il quale ho condiviso parte del mio percorso artistico sarà invitato ad esporre delle sue opere accanto alle mie, in una sorta di dialogo artistico. Poi DPCM permettendo vi sarà anche un nuovo vernissage e un incontro con l’artista invitato dove insieme al curatore, alla gallerista, e forse qualche altro invitato, parleremo oltre che delle opere, anche dell’amicizia che ci lega. I primi due sono Flavio Favelli e Salvatore Falci, sugli altri preferisco mantenere la sorpresa. Ma altri artisti che apprezzo sono sicuramente quelli che fanno già parte della mia collezione privata, spesso frutto di scambi, alcuni dei quali esporrò nell’ultima mostra del ciclo che si intitola “Gli amici di Boresta” e sono: Cesare Pietroiusti, Tomaso Binga, Alessandro Ratti, Giuliano Lombardo, Simone Marini, Salvatore Pupillo, Nello Teodori, Hannes Egger, Francesco Melone, Giuseppe Polegri, Luca Bidoli, Santini Del Prete.





















Progetti futuri?

E no! Di idee per il futuro ne abbiamo tante ma non si svelano mai prima, specialmente in un ambito come il nostro, sarei già contento se non accadesse che con qualche scusa ci scopiazzassero questo dei “Pranzi di Boresta”, che comunque faremo diventare presto un format che potremmo portare in altre prestigiose sedi, anche istituzionali, che si sono dimostrate interessate al nostro progetto. Ma sicuramente altre sorprese, che sono già in programma, avrete modo di apprezzarle durante tutti gli episodi di questo lungo ciclo di mostre, per cui seguiteci e non credo rimarrete delusi.

 

La mostra “Il Boresta che non ti aspetti” sarà al Micro di Roma, fino al prossimo 30 novembre 2021, DPCM e colori zone vari permettendo.

Stefania Vaghi

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