Ma poi arriva quel giorno che ti devi alzare alle quattro di
mattina per andare a Bologna dove ti aspettano per finire di allestire la
mostra al MAMbo denominata No! Oreste, No!. Ho promesso alla curatrice che le
avrei portato i miei album delle figurine di Oreste. Arrivo al casello
dell’autostrada; uscita Bologna Fiera, litigo con il casellante perché la cassa
automatica per pagare il pedaggio non accetta nessuna delle mie tre banconote
da 50 Euro nuove di zecca, anzi nuove di banca, ma quando lo faccio presente
all’inserviente dell’ente autostrade via citofono, costui mi risponde che anche
lui prende i soldi dalla banca, e aggiunge che lui non può farci nulla perché
quella è solo una macchina, mentre lui invece no!?… Per qualche istante ho come
l’impressione di essere cascato dentro il libro di Kafka Il processo. Ebbene
non ci crederete, ma alla fine tutto si è aggiustato, del resto sono uscito da
complicazioni e personaggi ben peggiori. Arrivo al museo, parcheggio, entro, mi
faccio annunciare e salgo gli scalini due alla volta felice di non essere
rimasto intrappolato a vita in autostrada. Nella sala dove stanno all’estendo
trovo già diverse persone e qualche Orestiano, la curatrice vedendomi mi saluta
e mi viene incontro, ma subito dopo mi dice che le bacheche sono già piene e
non vi era posto per il mio Album di Oreste Uno a colori (prodotto in
pochissimi esemplari) come avevamo concordato. Mi trovavo forse ancora dentro
le pagine del libro Kafka? Non so per quale motivo, ma improvvisamente tutto
l’interesse dimostrato fino ad allora per il materiale del mio personale
archivio di Oreste sembra essere svanito. Le braccia mi cascano lungo i
fianchi, così mi siedo e vengo a sapere che anche per ciò che concerne le foto
delle figurine dei partecipanti alle prime due residenze di Oreste, che avevamo
deciso di attaccare al muro, sorgono dei problemi in quanto ritenute un mio
lavoro, e quindi, nisba, niente esposizione.
È il solito vecchio problema degli ultimi anni di Oreste,
che poi a mio parere è stato anche uno dei motivi che ne ha determinato lo
sfaldamento e quindi la morte. Decisioni discutibili prese a tutela di chi e in
virtù cosa? Determinate e influenzate da chi? Decisioni che qualcuno ha
interpretato come capricci di natura interpersonale (antagonismo), visto che
poi tutto quello che era esposto in realtà era comunque opera di qualcuno: dai
bellissimi video montati da Mario Gorni all’importante postazione di UnDo.net,
dai tre libri di Oreste alle foto conviviali scattate durante le residenze e
appese alle pareti, all’accumulo di rifiuti, sul quale ho saputo che molto si è
dibattuto se esporre o meno, e forse era meglio di no. Ora, come è naturale,
gli antagonismi all’interno di Oreste sono esistiti e non gli hanno giovato, ma
continuare ancora oggi in questo senso non ha alcun motivo e tutto ciò va a
scapito di Oreste e di un allestimento che sarebbe stato a mio avviso più
interessante ed esaustivo per tutti gli studiosi e coloro che sono interessati
al progetto. Comunque, poi, alla fine in qualche modo l’abbiamo aggiustata, io
ho evitato di aver fatto un faticoso viaggio a vuoto, e la curatrice Serena
Carbone è riuscita comunque a destreggiarsi in una impresa non facile come
quella di trattare con un soggetto articolato e complicato come quello di
Oreste.
LA MOSTRA
La mostra o meglio l’esposizione dei materiali, insieme ai
vari incontri che ci sono stati nel corso dei due mesi, ha restituito una bella
energia al Museo MAMbo e anche il bravo direttore Lorenzo Balbi è rimasto molto
contento. Per cui tutto è bene quel finisce bene. Ma è finito bene? Ma
soprattutto finirà bene? Eh sì! Perché io penso che un archivio, per essere
valorizzato al meglio, necessiti non solo di essere detenuto da qualcuno, ma
deve essere ordinato, sistematizzato, gestito e arricchito in modo da diventare
accessibile, possibilmente non solo agli addetti ai lavori, che sempre più
dimostrano interesse verso questa esperienza/situazione artistica, ma anche e
soprattutto agli studenti (viste anche le diverse tesi di laurea realizzate sul
Progetto Oreste), e agli amanti dell’arte, sempre più incuriositi da questa
strana cosa che è stata Oreste.
No, Oreste, No!,
tenutasi nella Project Room del MAMbo di Bologna nei mesi di marzo e
aprile 2019, ha ripercorso la vicenda del Progetto Oreste attraverso i
materiali che lo riguardano: gli artisti, con le loro vite e le loro ricerche,
e l’archivio composto da materiale audio-video e cartaceo composto di testi,
fotografie, libri, cataloghi, album, figurine, riviste, flyer, locandine,
lettere, e-mail, il tutto per ricostruire il grande network che l’invisibile
Oreste, in pochi anni, ha intrecciato con il mondo dell’arte.
La mostra è stata accompagnata anche da una pubblicazione
dal titolo “No, Oreste, No! Diari da un archivio impossibile, in distribuzione
gratuita con un testo istituzionale del direttore del museo e l’introduzione
della curatrice che ha curato anche una serie di interviste a: a.titolo
(Francesca Comisso e Luisa Perlo), Caroline Bachmann, Fabrizio Basso, il
sottoscritto, Zefferina Castoldi, Annalisa Cattani, Silvia Cini, Salvatore
Falci, Emilio Fantin, Daniele Gasparinetti, Mario Gorni, Meri Gorni, Viviana
Gravano, Ferdinando Mazzitelli, Fabiola Naldi, Luigi Negro, Giancarlo Norese,
Laura Palmieri, Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier, Cesare Pietroiusti,
Alessandra Pioselli, Premiata Ditta (Anna Stuart Tovini e Vincenzo Chiarandà),
Anteo Radovan.
Questo il mio contributo alla pubblicazione rispondendo a questa intervista:
Come sei venuto a
conoscenza di Oreste?
Erano i primi mesi del 1997 o forse fine 1996, in quel
periodo io e Cesare Pietroiusti per 2, 3 anni siamo stati un po’ come culo e
camicia e ricordo che quella volta eravamo seduti intorno a un tavolino, che,
più che un ristorante, mi sembra di rammentare fosse una sorta d’osteria che si
trovava dalle parti dei monti Lepini. Non ricordo chi decise o ci consigliò di
andare a mangiare in quel posto, ma ricordo che intorno al tavolo vi erano
Salvatore Falci, Valeria Bruni, che all’epoca era la compagna di Salvatore,
Bruna Esposito, Cesare Pietroiusti e il sottoscritto, mentre sotto al tavolino
in un passeggino vi era Pinki Pietroiusti che dormiva profondamente. Cesare
senza tanti preamboli ci disse che Mario e Dora Pieroni gli avevano proposto di
organizzare qualcosa in questa foresteria di Paliano che gli veniva messa a
disposizione dal sindaco di allora Peppe Alveti per tutta l’estate, e aggiunse
che, memore della sua piacevole esperienza avuta a Civitella Ranieri Foundation
in Umbria, aveva pensato di mettere in piedi una residenza per artisti, per
questo ci invitava ad aiutarlo nell’organizzazione. Ricordo che, per niente
spaventati dall’impresa, ci fu subito nell’aria una piacevole eccitazione, al
punto tale che incominciammo da subito a buttare giù i nomi dei possibili
artisti da invitare. Vi fu anche una breve discussione sull’opportunità o meno
d’invitare alcuni artisti. Mi sono sempre chiesto perché, tra le tante cose che
avrei potuto ricordare, nella mia mente si sia fissato questo particolare
ricordo, e credo di essere giunto alla conclusione che il motivo risiede nel
fatto che quello fu uno dei momenti fondanti nel quale si cominciò a costruire
fin da subito il criterio di selezione con il quale invitare gli artisti a
partecipare alla residenza: le convocazioni non dovevano essere determinate o
inibite da pregiudiziali personali, ma piuttosto dall’interesse artistico e
intellettuale che ogni artista scelto potesse apportare all’interno di una
costruzione, o meglio di un’indagine sul momento storico artistico di un certo
tipo di ricerca particolarmente vicino all’arte relazionale. Arte relazionale
verso la quale eravamo tutti noi molto interessati e orientati.
Avevi un ruolo al suo
interno?
A fronte di qualche sacrificio mi ero comprato da poco una
telecamera Panasonic RX1 (all’epoca mi ricordo che spesi 1.150.000 Lire). Un
acquisto che avevo voluto affrontare a tutti i costi visto che era nata la mia
prima figlia (Soele) già da un anno e ancora non ero riuscito a immortalare i
suoi primi anni di vita con dei filmini, così come facevano tutti, e io non
potevo certo continuare a perdere i migliori anni di mia figlia. Quando
Salvatore scoprì che possedevo una telecamera, d’accordo con Cesare decisero di
assegnarmi il compito della documentazione video fotografica. Infatti, io
vivevo, e vivo tutt’ora, molto vicino a dove si sono svolte le prime due
residenze di Oreste e per questo ero tutti i giorni presente. Insomma, presi
così seriamente questo incarico che cominciai subito a schedare
fotograficamente tutti i partecipanti alla residenza, e anche tutti gli ospiti
che di volta in volta ci venivano a trovare durante i vari incontri,
discussioni, eventi, etc. Inoltre, fin dalla prima presentazione d’artista,
incominciai anche a fare dei video di documentazione, che ho avuto modo di
rivedere ultimamente proprio durante i giorni cafausici della post-mortem di
Oreste, e devo dire che erano (e sono) un po’ troppo artistici, ma io ero
artista, e per la prima volta avevo tra le mie mani una vera telecamera tutta
per me; per cui non ho saputo resistere alla tentazione di infilarci riprese
sperimentali probabilmente discutibili. All’epoca, nella mia inesperienza,
pensavo che più che altro l’importante fosse la registrazione audio dei vari
interventi, che però avveniva sempre per mezzo del microfono della telecamera,
e per questo motivo spesso anche le inquadrature erano/sono piuttosto
improbabili: inquadravo piedi, zumavo bocche, facevo primi piani di orecchie,
oppure: capovolgevo o trascinavo la telecamera, improvvisavo filtri che
anteponevo davanti alla lente di ripresa, etc.. Nonostante ciò, ci sono
comunque parecchie buone riprese, e poi le ore di registrazione furono così
tante che alla fine Mario Gorni è riuscito comunque a montare un bel filmato su
Oreste che è stato presentato in diverse occasioni.
Nel 2001, dopo la
mostra di Roma, Le tribù dell’arte a cura di Achille Bonito Oliva, Oreste
muore, quali secondo te – se ve ne sono – le cause del decesso?
I fattori furono sicuramente più di uno. Uno di questi
sicuramente risiede nel fatto che specialmente dopo la partecipazione alla
Biennale di Venezia, coloro che volevano partecipare a Oreste erano diventati
così tanti, e non solo dall’Italia, che organizzare le residenze era diventato
un impegno enorme. Inoltre, vi erano tutti gli eventi collaterali di Oreste, e
gestire tutto questo era diventato troppo difficile e impegnativo per tutti
noi.
Sei stato tra i primi
a partecipare alle residenze di Paliano. Nel 1999 c’è stata la Biennale, si può
dire che questo momento ha rappresentato un prima e un dopo nel progetto? Se sì
per quale motivo?
Sì! E il motivo risiede in parte in quello che ho detto
sopra.
L’esperienza di
Oreste ha influito sul tuo lavoro?
Certo che ha influito sul mio lavoro come su quello di tutti
coloro che a Oreste parteciparono con particolare impegno. E poi Oreste mi ha
dato l’opportunità di realizzare uno dei lavori più divertenti che abbia mai
realizzato: l’album delle figurine di Oreste, che in realtà sono due perché uno
è Album Oreste Zero e poi c’è il secondo Album Oreste Uno. Ricordo ancora come
fosse ieri l’euforia dipingersi sui volti di coloro che trovavano la loro
figurina all’interno delle bustine appena aperte. Credo che regalare felicità
sia una delle gioie più belle della vita, e quella volta a me era riuscito
inaspettatamente bene, per questo ne rimasi per molto tempo orgoglioso e lo
sono tutt’ora. Quando durante la residenza di Oreste la mattina arrivavo con i
pacchetti di figurine, freschi, freschi appena fatti, preparati durante la
notte per stare al passo con le richieste, venivo praticamente preso d’assalto
dai residenti e finivo tutta la produzione nell’arco di pochissimo tempo.
Dovevo così tornare a casa a farne delle altre, ma essendo la manifattura delle
bustine contenente le figurine uno degli aspetti più rognosi della
realizzazione del progetto, per fare più in fretta escogitai l’espediente che a
coloro che mi riportavano dieci bustine aperte, che riutilizzavo restaurandole,
regalavo in cambio due bustine piene. Era quindi diventato divertente guardare
con quale circospezione spesso le persone aprivano le bustine appena comprate.
Questo escamotage mi dette la possibilità di una produzione un po’ più celere,
senza riuscire comunque a soddisfare le richieste giornaliere. Un altro aneddoto
divertente che posso raccontare è quello legato alla foto che si trova proprio
sul pieghevole del programma del MAMbo 2019, dove si vede la prima foto di
gruppo in assoluto di Oreste, e che si trovava nell’Album Oreste Zero. Ma
quelle che vediamo rabberciate nella foto del programma sono le due figurine
che Salvatore Falci ha acquistato per ben cinquanta figurine da Zeno Lumini, che
era stato l’unico fortunato a trovare entrambe le parti riuscendo a comporre
l’ambita foto di gruppo. Un’offerta cosi vantaggiosa che Zeno, messo sotto
pressione da Salvatore, non poté rifiutare, tant’è che, pur avendole già
attaccate sul suo album, decise di staccarle per darle a Falci in cambio della
cospicua offerta. Per cui queste che si vedono sono le due parti rabberciate sull’album
di Salvatore Falci che poi è diventata a sua volta una figurina del mio diario
con immagini e brevi testi (una sorta di diario con figure) dell’Album Oreste
Uno.
Qual è secondo te
l’eredità di Oreste oggi?
Una nuova visione sulle residenze d’artista che ha dato vita
anche a un nuovo format di residenze. Residenze di artisti se ne facevano anche
prima di Oreste, ma le modalità erano diverse; erano residenze chiuse in sé
stesse a uso e consumo dei soli residenti. Invece, Oreste era aperta e
inclusiva. Ma il più grande merito di Oreste credo sia stato quello di creare
intorno alle vicende delle residenze un entusiasmo che prima non c’era. Per
questo forse hanno ragione coloro che sostengono che in realtà Oreste non è mai
stata una residenza d’artista e, forse, lo racconterà e spiegherà meglio di me
qualcun altro. Una cosa è certa, definire Oreste una residenza sarebbe
sicuramente riduttivo e immeritato.
Leggendo gli atti del
convegno al Link di Bologna nel 1997 Come spiegare a mia madre che ciò che
faccio serve a qualcosa? Emergono tanti temi interessanti come la formazione
dell’artista, la sua relazione con il mercato ma soprattutto con il mondo
dell’informazione, le diverse riflessioni sulla quotidianità come soggetto
dell’opera e sul soggetto stesso produttore dell’opera, ovvero l’artista e la
sua identità. Sono passati più di vent’anni da allora, sembra che il mondo
dell’arte si faccia ancora le stesse domande, ne convieni o no?
Sì! Ma purtroppo spesso non sono sufficienti vent’anni per
imparare qualcosa, ma a volte neanche quaranta o sessanta anni.
Quale – secondo te ‒
è il luogo dell’arte nel presente (sempre se c’è un luogo)?
Credo che il luogo dell’arte per eccellenza oggi come oggi
sia la strada, ma anche il museo quando questo è concepito in forma diversa e
più avanzata. Specialmente poi, se nei musei si evita di fare mostre tipo
quelle con le fotocopie dei disegni di Banksy e si cerca, invece, di capire
dove sta andando l’arte contemporanea e cosa ci vuole dire, indicare, consigliare.
Riesci a immaginare
un mondo dell’arte senza mostre? E se sì come sarebbe?
Sì! Io ho fatto pochissime mostre (o propriamente dette)
nella mia pur lunga carriera artistica. Eppure, eccomi qui, e nonostante ciò
credo che ci sia qualcuno che mi consideri un artista a tutti gli effetti.
Quindi se la mia esperienza non è forse la dimostrazione di nulla, potrebbe
forse essere un’indicazione di percorso diverso e possibile per coloro ai quali
certe vie sono precluse. Ma a volte trovarsi costretti a inventarsi strade
alternative per raggiungere e ottenere quello che ci si è prefissati può
motivarti ancora di più e diventare un valore aggiunto. Bisogna però essere
molto affamati, avere molta abnegazione, molta pazienza, mandare giù tanti
bocconi amari, studiare, studiare, studiare, ma anche avere tanto, tanto amore
per l’arte e per quello che si fa.
Questo il cappello a cura della redazione:
Non solo residenza artistica, il progetto
Oreste è stato celebrato da una recente mostra al MAMbo di Bologna. Pino
Boresta, uno dei protagonisti di quell’esperienza, ne ripercorre le tappe.
In foto:
Alcuni
momenti della mostra al MAMbo denominata “No! Oreste, No!”.
Alcune
pagine e figurine dei miei Album di Oreste.