Don’t let me down
Era il 2004, squilla il telefono: “Ciao sono Claudio Morici,
ci siamo scambiati qualche e-mail e ti ho detto che ti avrei chiamato”. Claudio
è un giovane scrittore e mi spiega, nella sua e-mail del 14 gennaio 2004, che
sta curando un’antologia di scritti che uscirà a breve e sarà distribuita in
tutta Italia, mi dice che il libro parlerà degli artisti di merda di cui
secondo lui io sono uno dei rappresentanti di spicco. Io m’irrigidisco un po’,
ma Claudio è un abile parlatore e con il linguaggio ci sa fare (è il suo pane
quotidiano e diverrà la sua professione, chi lo conosce sa di cosa parlo), e mi
rivela che il libro s’intitolerà Teoria e tecnica dell’artista di merda; il
termine è preso da un libro autobiografico di Philip K. Dick Confessioni di un
artista di merda, e sostiene che sarà una sorta di manifesto, ironico e
militante, sui processi creativi. Mi spiega poi che la terminologia “Artisti di
Merda” non è in accezione denigratoria, tutt’altro, e aggiunge che ci sono
personaggi illustri che sono stati e sono artisti di merda, e lui stesso è un
artista di merda. Insomma me la incarta bene bene e ci mette poco a
convincermi. Dice che vorrebbe mettere nel libro il mio lavoro di Web Art Dove
vanno a finire gli spermatozoi quando non raggiungono l’ovulo?.
Io e il Morici siamo poi diventati cari amici e, anche se
non riusciamo a vederci spesso, tra noi si è accesa quella fiammella che a
volte si accende tra due persone, e che difficilmente si spenge. Lui è l’unico che
quando, nel 2012, seppe che ero in ospedale per la terza volta per una TURP
(resezione transuretrale della prostata, che poi mi procurerà quella sterilità
di cui parlo proprio nel punto 9 del mio intervento sul libro del Morici) non
ben riuscita, ha deciso immediatamente di venirmi a trovare. Questi sono atti
d’affetto che non si dimenticano, anche perché lui è rimasto uno dei pochi con
il quale ogni volta che ci vediamo riesco a farmi ancora un sacco di risate e,
in alcuni sconfortanti momenti della vita (me l’ero vista brutta a causa di una
brutta emorragia), due risate possono aiutare a superare la depressione. Quando
uscì l’antologia curata da Claudio, fui entusiasta che mi fossero state
dedicate dieci pagine all’interno del libro, e se la definizione “Artista di
Merda” non mi fece diventare famoso, ne fui comunque così orgoglioso che mi
venne perfino l’idea di organizzare una mostra/azione da presentare durate la
Biennale di Venezia come evento collaterale, invitando tutta una serie di
artisti che secondo noi appartenevano alla categoria. Il progetto fallì quasi
subito, al secondo incontro con Claudio nel solito bar di Roma. Era un progetto
al di sopra delle nostre possibilità e mezzi, e le poche persone che tentammo
di coinvolgere c’è mancato poco che ci ridessero in faccia, anzi qualcuno lo
fece.
CONFESSIONI D’ARTISTA
Qualcuno si starà chiedendo perché mai racconto tutto questo
proprio ora? Ora che, come molti sanno, i miei problemi sono ben altri. Vi
confesso che me lo stavo chiedendo pure io, sono quindi andato a prendere il
libro di Claudio pubblicato nel 2004 Teoria e tecnica dell’artista di merda,
della Casini editore (diventato nel frattempo rarissimo), l’ho sfogliato e,
dopo qualche pagina, ho capito che il mio inconscio sempre vigile e più intelligente
di quanto lo sia io si era ricordato di quella dicitura che tra le note avevo
fatto aggiungere a Morici. Così recita: Stando a quello che mi ha detto, Pino
Boresta non solo è un “artista di merda”, ma anche un “artista morto de fame”.
Evidentemente fin da allora avevo capito quale sarebbe stato il mio destino
infame, ma probabilmente non pensavo che sarei mai arrivato fino a questo
punto, fino al punto di coinvolgere e portare nel baratro tutta la mia
famiglia. Loro, soprattutto i miei figli, che amo più di ogni altra cosa, tutto
questo non se lo meritano. Loro, tutti e tre, sempre con ottimi risultati
scolastici che non posso mai ricompensare. Tutto merito di mia moglie, sia ben
chiaro, io non avrei mai sperato di avere a casa tre geni (Sì! Sì! Lo so, ogni
scarafone è bello a mamma soja, ma così è), io intervengo solo quando
subentrano difficoltà con la Matematica, l’Inglese e chiaramente l’Educazione
Artistica. Ma in questo mondo infame, dove il cinismo è imperante, dove lo
Stato che avrebbe il compito di occuparsi delle famiglie più bisognose,
intervenendo proprio lì dove ci sono forti elementi di fragilità economica,
procede invece facendo esattamente il contrario di quello che, per bocca dei
politici, viene promesso nelle trasmissioni televisive, a favore delle famiglie
e, in particolar modo, di quelle, numerose, con basso reddito. Non ci hanno
tolto soltanto l’esenzione ticket e molte altre agevolazioni, ma ci hanno tolto
la speranza di farcela, la speranza di sopravvivere e, invece di aiutarci, ci
stanno aumentando in maniera spropositata i ratei abitativi. Sarebbero questi
gli aiuti per le famiglie che tanto vanno strombazzando a destra e sinistra? Ma
ho deciso, e qui ve lo giuro, che chi tira le fila di questo gioco, tutti
quelli che sono i responsabili di questo stato di cose, non mi faranno
rimpiangere la mia (anzi la nostra) decisione di mettere al mondo tre figli
splendidi ai quali non sto riuscendo a garantire quella tranquillità che
sarebbe giusta, specialmente durante l’adolescenza.
IL VALORE DELL’AMICIZIA
In questi giorni incomincio a credere che la colpa di tutto
quello che ci sta succedendo sia mia, perché in un mondo dove le corporazioni,
le relazioni tra le persone sono sempre più importanti, indispensabili,
inevitabili, necessarie, fondamentali al punto tale che se le trascuri la fine
che fai è quella mia, avrei dovuto fare qualcosa di più, qualcosa di diverso.
Eppure io non sono quel tipo d’artista cui si può rimproverare di stare chiuso
nello studio, fuori dal mondo. Ma purtroppo, allo stesso tempo, non sono quello
che si dice un simpaticone particolarmente abile a tessere relazioni e
alleanze. E non parlo solo delle PR all’interno del mondo dell’arte, ma in
generale. Qualcuno in una chat privata mi ha fatto notare che per raggiungere
l’obiettivo del crowdfunding (che parzialmente ci aiuterebbe a superare questo
forte momento di difficoltà economica) sarebbe stato sufficiente che meno della
metà dei miei amici su Facebook mi avesse supportato con l’offerta minima:
infatti, 200 (amici) x 30 (euro) uguale 6000 euro tondi tondi. Tutti
ricompensati con le mie ambite (a detta di alcuni) smorfie adesive. Io però gli
ho fatto presente che questo non è un ragionamento sostenibile, e nessuno dei
miei amici di Facebook deve essere biasimato se non partecipa al crowdfunding,
poiché ognuno deve fare quello che può e quello che si sente di fare
relativamente alle proprie possibilità. Inoltre, a mio modo di vedere, il
significato della parola “Amico” sta assumendo una valenza diversa, che si
affranca dalla subordinazione a certe azioni che quelli che una volta si
chiamavano “Amici veri” erano quasi costretti ad adempiere. Amici con i quali
ci si conosceva profondamente, grazie a tanti bellissimi e bruttissimi momenti
passati insieme, e quindi ci si amava. Ora è impensabile che si possa avere
5000/10.000 amici, o 500 veri amici, ma io non considero questo nuovo aspetto
dell’amicizia riguardante i social media una deformazione dell’amicizia e non
vedo tutto questo con sospetto e negatività, ma anzi ne apprezzo i grandi
vantaggi che tutti sappiamo e che mi hanno permesso, perlomeno, di ottenere
quel minimo che ho raggiunto, se non altro in termini solidarietà (e non solo),
e del quale diversamente non avrei potuto godere. Ma non sono qui per fare un trattato
sull’amicizia, o sul come questa parola tanto importante nell’esistenza sociale
di un essere umano stia modificando il suo valore, alla luce dell’avvento dei
social media. Né ho intenzione di vivisezionare la nuova valenza della parola
“amicizia”, i suoi riferimenti di fondo e quelli nuovi che stanno nascendo.
Questa è materia di studio per la sociologia contemporanea e lascio che siano i
sociologi a occuparsene o gli scrittori interessati alla questione. Io non sono
un sociologo né uno scrittore, ma un artista che, navigando tra mille
difficoltà, cerca non di farsi accettare dal mondo dell’arte, ma di esistere e
dare senso e valore alla propria presenza su questo palcoscenico chiamato
mondo.
ARTISTA MORTO DE FAME. AMICI CERCASI
Qualcuno mi ha accusato di fare del pietismo, e forse ha
ragione, ma che altro avrei potuto fare se non cercare di uscire da questo
nostro (mio e della mia famiglia) infausto momento con quello che so fare
meglio e faccio da trent’anni, e cioè il mio lavoro d’artista? Potevo non
rivolgermi al mondo dell’arte? O, come ha scritto giustamente qualcuno,
“cercare rifugio nell’arte”? Nell’arte con la mia arte e nella comunità
artistica che, nel bene e nel male, è quella che più frequento e all’interno
della quale ho vissuto e sto vivendo. Me lo sono chiesto, e vi assicuro che
altre strade, o soluzioni diverse, io non le ho viste. Solo il tempo mi dirà se
ho fatto la cosa giusta, ma, anche fosse stata una decisione sbagliata, non me
ne pentirei, del resto non sarebbe la prima volta che sbaglio e probabilmente
non sarà l’ultima. Posso solo sperare che qualcuno abbia in questo modo avuto
la possibilità di capire di me un pezzettino in più, e chi non mi avrà capito,
pazienza, non si può piacere a tutti. Io non posso cambiare quello che sono, il
mio stile di vita, la mia cifra artistica, il mio essere artista di merda e
morto di fame, solo per qualche amico in più.
Help me if
you can, I’m feeling down
P. S. Le scritte in inglese sono citazioni dalle canzoni
degli Scarafaggi.
Questo il cappello a cura della redazione:
Dopo aver lanciato il Crowdfunding per dare
a sé stesso a alla propria famiglia la possibilità di superare un momento
difficile, l’artista romano approfondisce le ragioni del suo gesto, e
riflettere sul concetto di amicizia ai tempi dei social network.
In foto:
Io, Claudio Morici, i libri di Philip K.
Dick e Claudio Morici, una mia foto-composizione.
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