26/03/2021
Pino
Boresta L’artista Che Non Ti Aspetti Eclettico e poliedrico artista, outsider
del mondo dell'arte contemporanea, in un'intervista per la sua personale
"Il Boresta che non ti aspetti" al Micro di Roma, fino al prossimo
novembre.
Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Pino
Boresta, artista eclettico e vulcanico, in mostra al Micro di Paola
Valori, con la personale “Il Boresta che non ti aspetti!”, fino al
prossimo novembre, sei mesi non solo di mostra, di performance e di
appuntamenti, che lo vedono anche in veste di artista-cameriere speciale in “Serve!
Boresta”, ho voluto tempestarlo di domande sulla sua arte, sul suo percorso
artistico e, in generale, sul mondo dell’arte contemporanea.
Pino Boresta, sei mesi di
mostra “Il Boresta che non ti aspetti” al Micro, un progetto molto ambizioso,
come nasce?
Questo è progetto che avevo in
testa da molto tempo, perché volevo trovare il modo di presentare e valorizzare
alcuni momenti importanti del mio lavoro artistico. Un’idea che si è poi
concretizzata quando ho incontrato dopo molti anni la mia amica Paola Valori
anche lei coinvolta in prima linea all’interno di questo sfavillante mondo
dell’arte. Ci siamo immediatamente detti che prima o poi avremmo dovuto fare
qualcosa insieme. Paola ha dimostrato fin da subito un sincero interesse nei
confronti del mio lavoro artistico, forse un po’ atipico per i suoi gusti, ma
ho percepito che in qualche modo aveva seguito nel tempo la mia ricerca e
quindi il suo interesse, al di là della nostra amicizia, era autentico. Così
alla prima occasione non ci siamo fatti sfuggire la possibilità. Abbiamo poi
trovato la quadra perfetta nel momento in cui ho pensato che potesse essere Raffaele
Gavarro il curatore che ci avrebbe potuto affiancare ed aiutare in questa
audace avventura, e non poteva essere diversamente vista la sua professionalità
e la reciproca stima che ci lega da lunga data. Poi le ciliegine sulla torta
sono state tutte le ragazze ed assistenti di Paola: Francesca, Martina,
Carolina, Sara, Natascia, Arianna, Karla e Patrizia, che collaborano con noi in
questo impegnativo progetto.
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Negli appuntamenti di marzo
“Serve! Boresta” serve a tavola personaggi del mondo della cultura romana, un
flashback nel suo passato a Londra?
Si! Ho pensato di mettere in
piedi questa performance memore di quello che è stato uno dei miei primi
mestieri “il cameriere” che avevo iniziato già a fare dopo essermi diplomato
per guadagnare un po’ di soldi per i miei viaggi. Uno dei quali mi ha portato a
Londra per imparare la lingua e dove per sostentarmi ho continuato a fare. Un
lavoro per noi italiani all’estero, che era sicuramente uno dei più facili che
si poteva trovare allora e forse pure oggi.
Siamo tutti molto contenti di
questa performance perché la sua peculiarità ne sta determinando il successo
oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Credo che questo sia dovuto
all’accuratezza che abbiamo posto nei dettagli e dall’inusuale situazione che si
viene a creare. Infatti, tutti gli invitati dopo aver confermato la loro
presenza, riceveranno a casa un invito cartaceo nominale (usanza ormai
scomparsa nell’era del digitale ma da noi ripristinata creativamente) da
presentare e consegnare al loro arrivo in galleria, e che ritireranno come
ricordo firmata dall’artista quando andranno via. Inoltre, non succede tutti i
giorni di mangiare all’interno di una galleria circondati da opere d’arte fatte
su tovaglioli come quelli che si hanno sulle proprie ginocchia e serviti da un
cameriere che è anche l’artista che ha realizzato più di 30 anni prima quegli
stessi quadri appesi alle pareti. Aggiungete a questo l’elegante e preziosa
mise an place di proprietà della titolare della galleria, la singolare
composizione floreale del centro tavola realizzata da Marzia Taurino, il
ricercato menu di alta cucina preparato dallo chef stellato Maura
Pierangelini, i raffinati vini serviti dal qualificato sommelier Ettore
Aimi e “Il pranzo è servito”. Oltre tutto, essendo un pranzo al buio, vi è la
sorpresa di trovarsi a tavola con persone che non si conoscono o che magari si
conoscono ma mai ci si sarebbe aspettati di trovare lì. A tutto questo
aggiungete il fatto che: non solo siete immersi in un’opera d’arte, ma fate
parte dell’opera stessa, anche perché alla fine del pranzo i tovaglioli di
tutti i commensali, grazie alla loro presenza, diventeranno opere uniche ed
esclusive, e chi sa? potrebbero passare nei libri di storia dell’arte? Mi
suggeriscono di volare basso perché mi dicono che le mie ali sono fatte ancora
di cera, va bene… speriamo allora che un domani mi spuntino quelle vere come ad
Angelo degli X-Men.
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Londra 1988 |
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Roma 2021 |
Da appassionato d'arte
quanto sareste disposti a sborsare per un’opera d’arte? E quanto se invece si
trattasse di un qualcosa che esiste solamente sotto forma di asset digitale?
Qualcuno gli ha staccato un assegno dall’importo pari a 69,3 milioni di dollari
per “EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS, 2021” di Beeple, all’anagrafe Mike
Winkelmann troppo poco? Troppo alto? L'arte digitale è il futuro?
Ho riflettuto più volte su
questa faccenda del mercato dell’arte, e trovo ridicolo che gli artisti che il
più delle volte vivono e muoiono in povertà, sono coloro che in realtà, non
solo creano e producono ricchezza ma la sfamano. Gli artisti con le loro mani,
con le loro storie e le loro idee danno origine a quella ricchezza che diventa
spesso bene rifugio per un ristretto gruppo di abbienti che ha bisogno di
diversificare i propri investimenti. Spesso gli artisti sono solo lo strumento
per produrre e mettere in circolazione del valore capitale. Un valore variabile
rappresentato dalle loro opere, come fossero una sorta di zecca che batte
moneta e la mette in circolazione. Ma mentre il valore della moneta lo fa lo
stato sulla pelle dei cittadini, quello delle opere, cioè il loro controvalore,
è sulla pelle dell’artista, e l’arte digitale non cambierà le cose. Per cui No!
l’arte digitale non è il futuro, anzi, penso che sia già vecchia, e può trovare
la sua salvezza solo se trova alleati in altre forme d’arte.
Lei si considera un'artista
che vive la contraddizione fra l'essere e il fare?
Direi proprio di sì,
frequentando da molti anni le fiere d’arte, ho come l’impressione (e non dico
niente di nuovo) che molti degli avventori: benestanti, ricchi e collezionisti,
comprino opere d’arte non per il valore intrinseco che queste rivestono intellettualmente
o artisticamente, ma solo a fine speculativo, come potenziale bene
d’investimento economico. Questo fa sì che i frequentatori delle fiere, il più
delle volte non siano alla ricerca dell’artista di sicuro valore in virtù del
suo lavoro, ma piuttosto dell’artista anche mediocre, che gli garantisce un
investimento sicuro. Grazie a dio, la storia ci insegna che questo tipo di
speculazioni falliscono il 95% delle volte se non vi è un reale interesse e
amore per l’arte, neanche lo screening più accurato farà scoprire al
collezionista di turno la verità, perché la verità non va scoperta ma va
cercata. Pertanto, solo coloro che ben conoscono il sistema dell’arte, le sue
insidie, i suoi inganni, ma anche i suoi pregi e tutto quello che di nascosto
vi è tra le pieghe sottili dell’Art System, potrà realmente avvantaggiarsi e
fare buoni affari, spesso alla faccia dei cento babbei che cascano nelle
grinfie dei soliti spregiudicati mestieranti.
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ph Giorgio Benni |
Tutti pensano di sapere cosa
sia esattamente l’arte contemporanea, ma spesso questa definizione viene usata
a sproposito e su alcuni grandi artisti e le loro opere persistono pregiudizi e
credenze profondamente errati: lei come si contraddistingue come artista
nell'era moderna?
Il problema non sono i
pregiudizi sugli artisti, il problema spesso sono gli artisti stessi. Quanti
artisti (senza che mi metta qui a fare i soliti nomi che sono stufo di ripetere
ogni volta) pensano di giocare con l’arte o con il sistema dell’arte, quando in
realtà è il sistema dell’arte che gioca con loro, facendogli credere di essere
grandi artisti solo perché le loro opere vengono comprate a milioni di euro o
dollari. Io credo che ai più intelligenti di questi, sia venuto sicuramente il
dubbio, di essere in realtà solo pedine funzionali al sistema capitalistico
ormai globalmente riconosciuto vincente.
Del resto, il sistema economico
mondiale movimenta enormi capitali economici sempre più ingenti; ed oro,
platino, diamanti ecc. non sono più in grado di supportarne il controvalore.
Per cui, così come in passato, si pensò, per necessità e comodità, di sostituire
alla circolazione delle monete d’oro o d’argento delle semplici banconote, che
avessero il loro controvalore nelle casseforti degli Stati sovrani, qualcuno ha
pensato ad un certo punto, visto che intorno all’arte giravano un sacco di
soldi, di adoperare come controvalore alle banconote le opere d’arte degli
artisti. Ma qua sorge il problema: mentre l’oro ha un valore che può fluttuare
ma è più o meno stabile e garantito, così come avviene per i titoli quotati in
Borsa anche le opere d’arte non hanno garanzie certe, specialmente se sono
opere d’arte contemporanea. È stato a questo punto che qualcuno nel tentativo
di garantire un controvalore certo, o almeno di una certa sicurezza, si è
inventato il sistema dell’arte. È così che nasce il S.E.C.A. quello che io
chiamo il: Sistema Economico Commerciale dell’Arte che sarà oggetto di un mio
prossimo progetto artistico Top Secret.
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Purtroppo, questo sistema si è
dimostrato e si dimostra spesso fallace, così come avvenne per la bolla dei
tulipani in Olanda. Le troppe decisioni avventate, spesso prese a tavolino con
motivazioni puramente commerciali e di comodo, ne causa la sua fragilità. Per
questo siamo ancora qui tutti a domandarci: Quali devono essere i fattori che
determinano il valore di un’opera? La Gioconda sarebbe divenuta così preziosa
se non fosse mai stata rubata? Chi decide cosa e quanto deve valere una
determinata opera d’arte? Chi decide quale artista deve essere più importante
di altri, e quindi le sue opere devono costare più di quelle di altri? Coloro
che decidono conoscono e tengono conto del percorso artistico di un artista?
Coloro che decidono considerano importante il valore sociale, spirituale,
intellettuale, storico e artistico di un’opera d’arte? Purtroppo, a molti tutto
questo non interessa, a molti interessa solo che abbiano un reale controvalore
commerciale, possibilmente il più stabile possibile.
Accade così, che certi artisti,
se ancora in vita, ripagati oltre che economicamente anche con qualche piccola
o grande gratificazione qui e lì, diventino una sorta di zecca che produce
opere di vario formato e foggia (non importa se siano banane, stencil,
sculturine scopiazzate) che vengono usate come controvalore per enormi
transazioni economiche, sostituendo la carta moneta o altre forme di scambio.
Questi artisti sono ignari di fare parte di tutto questo che rischia di
diventare un grande bluff? Questi artisti sono coscienti che stanno alimentando
una pratica che si sta sempre più consolidando? Né è la prova il fatto che si
possono trovare opere importanti del passato che vengono vendute e stimate a
prezzi irrisori, in confronto a molte opere d’arte contemporanea di dubbio
valore, vendute a prezzi inauditi. Allora mi chiedo: e da qui che nasce il
bisogno di mitizzare e rendere famosi certi artisti, per celebrare le loro
opere sugli altari delle case d’aste più importanti al mondo?
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Essere artista in qualche
modo l'ha salvata da una vita precaria e piatta; usa l’arte per capire qual è
il suo posto nel mondo?
Alla luce delle mie risposte
precedenti credo avrai capito che, sono ancora in fase di analisi, e più che un
salvato mi sento un sopravvissuto dei sommersi.
Com’è nata la sua passione
per l’arte?
In realtà non vi è un momento
in cui ho deciso che volevo fare l’artista, quello che ho fatto è incominciare
a disegnare e dipingere, ma ad un certo punto ho capito che avevo trovato la
strada, la mia strada. Ora quello che dovevo fare era mettere dentro la mia
testa la maggiore quantità possibile d’informazioni, il resto lo avrebbe fatto
il mio cervello che non era certo peggiore né migliore di tanti altri. Dopo di
che la missione consisteva nel mettermi in ascolto dei suggerimenti e
indicazioni che venivano prodotte dai miei pensieri; analizzarli, valutarli, e
quindi decidere cosa fare o cosa non fare. È a questo punto che entra in gioco
l’intuizione bergsoniana, che ho scoperto già allora, ma che continuo a
coltivare e affinare sempre di più.
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Si è sempre definito un
autodidatta dell’arte, secondo lei è stato un bene o è stato penalizzante non
seguire nessun indirizzo accademico di settore?
No! Forse è stato un bene,
almeno da quello che sento dire da chi le ha frequentate o da chi si è posto il
problema più di quanto abbia fatto io. A ogni modo credo che la differenza la
faccia poi la forza di volontà, la voglia di studiare e cercare di crescere
ogni giorno cercando di capire sempre meglio quello che ci circonda. Ormai
sappiamo bene tutti che oggigiorno essere e fare gli artisti non significa
saper disegnare bene o essere dei bravi pittori o scultori. In un’era complessa
e in continua evoluzione, come quella che stiamo vivendo, fare l’artista è
diventato qualcosa di più articolato e probabilmente completamente diverso da
quello era una volta.
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È sempre stato considerato
un outsider del mondo dell’arte, questa cosa lo ha penalizzato nel circuito
dell’arte contemporanea italiana?
Mi accorgo adesso che mi stai
dando del lei, ti prego dammi del tu, anche perché non credo sia mai stato dato
del lei a un outsider e non voglio di certo essere io il primo.
Detto questo se ognuno di noi
avesse la certezza che di fronte a ogni problema che la vita gli pone davanti
riuscirà sicuramente a superarlo, forse la vita risulterebbe noiosa. Bisogna
affrontare la vita con la consapevolezza che ogni ostacolo che si presenterà
nel corso dell’esistenza è possibile superarlo ma se l’ostacolo è troppo alto
bisogna aggirarlo, oppure avere la saggezza di sapere aspettare e comunque
trovare il modo di andare avanti. Io credo che ognuno di noi debba vivere ogni
giorno della propria esistenza come una sfida, se ci si rifiuta di affrontare
le sfide che la vita ci pone, abbiamo perso in partenza e si diventa schiavi
degli eventi. Vivremmo come quei drogati che decidono di vivere in uno stato di
annullamento del pensiero perché non sanno quello che vogliono, incapaci di
pianificare un disegno e tentare di raggiungerlo, vogliono solo godere ogni
attimo di vita procurandosi una falsa felicità imperitura. Certo si può vivere
cercando una pace interiore, evitando di imbarcarsi in progetti ed avventure
rischiose, ma non sarebbe un po’ come rinunciare ad amare ed a essere amati?
Allora tanto varrebbe rinchiudersi in un monastero ed evitare così tutti quei
pericoli che vivendo una vita piena si corre il rischio d’incontrare.
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Come hai vissuto il lockdown
del 2020 e come stai vivendo questo ulteriore di marzo 2021? La tua attività
creativa ha subito una battuta d’arresto? (Da notare che ti sto dando del tu…)
Da più parti nel mondo
dell’arte capita sempre più spesso di domandarsi se: “L’esperienza può essere
un’opera d’arte?”, io questo non lo so e lascio il dibattito agli esperti. Ma
dopo aver partecipato con una mia incursione semiclandestina al programma di
Max Giusti “Chi ti conosce?”
(https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/09/pino-boresta-televisione/)
ho capito ancora di più l’importanza di indagare questo campo d’azione come
nuova forma d’arte e credo che questa pandemia e questi ripetuti lockdown ci
stiano insegnando e facendo capire quanto questo sia necessario. Molti artisti
si stanno orientando in questo senso ed anche il pranzo della performance
“Serve! Boresta” oltre ad essere un’azione di Arte Relazionale è una
manifestazione artistica dove l’esperienza fa da padrona e in qualche modo
viene esposta e studiata. Il dinamismo di un vero artista non si fa certo
intimorire da qualche breve periodo di isolamento. Un artista ha sempre qualche
opera e qualche progetto incompiuto da terminare, se poi è uno a cui piace
anche scrivere, le giornate passano più veloci di quanto uno possa immaginare.
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Come definisci la tua arte?
Ho fatto nel tempo talmente
tante di quelle sperimentazioni e ricerche artistiche che non credo riuscirei a
trovare una definizione che le possa comprendere tutte, ma se penso alla mia
storia d’artista potrei forse definirla: un’arte ribelle, di barricata, di
protesta, di contestazione e contrapposizione, un’arte clandestina, un’arte
situazionista, un’arte relazionale, un’arte fatta nelle strade, un’arte
arrabbiata di dissenso, ma fatta anche di amore, di pietà, di attenzione
all’altro e di ricerca dell’altro. L’arte è la mia vita e ci sono dentro con
tutte le scarpe, lascerò pertanto che sia qualcun altro a dire cosa è stato
quello che ho fatto, perché il quadro quando lo vivi da dentro perdi la
possibilità di capire quello che avresti potuto comprendere guardandolo
dall’esterno.
Quali sono gli artisti che
apprezzi maggiormente nel panorama italiano ed internazionale?
Alcuni di questi li ho invitati
a partecipare a questo mio progetto. Ogni ultima settimana delle sei diverse
mostre, un artista con il quale ho condiviso parte del mio percorso artistico
sarà invitato ad esporre delle sue opere accanto alle mie, in una sorta di
dialogo artistico. Poi DPCM permettendo vi sarà anche un nuovo vernissage e un
incontro con l’artista invitato dove insieme al curatore, alla gallerista, e
forse qualche altro invitato, parleremo oltre che delle opere, anche
dell’amicizia che ci lega. I primi due sono Flavio Favelli e Salvatore Falci, sugli
altri preferisco mantenere la sorpresa. Ma altri artisti che apprezzo sono
sicuramente quelli che fanno già parte della mia collezione privata, spesso
frutto di scambi, alcuni dei quali esporrò nell’ultima mostra del ciclo che si
intitola “Gli amici di Boresta” e sono: Cesare Pietroiusti, Tomaso Binga,
Alessandro Ratti, Giuliano Lombardo, Simone Marini, Salvatore Pupillo, Nello
Teodori, Hannes Egger, Francesco Melone, Giuseppe Polegri, Luca Bidoli, Santini
Del Prete.
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Progetti futuri?
E no! Di idee per il futuro ne
abbiamo tante ma non si svelano mai prima, specialmente in un ambito come il
nostro, sarei già contento se non accadesse che con qualche scusa ci
scopiazzassero questo dei “Pranzi di Boresta”, che comunque faremo diventare presto
un format che potremmo portare in altre prestigiose sedi, anche istituzionali,
che si sono dimostrate interessate al nostro progetto. Ma sicuramente altre
sorprese, che sono già in programma, avrete modo di apprezzarle durante tutti
gli episodi di questo lungo ciclo di mostre, per cui seguiteci e non credo
rimarrete delusi.
La mostra “Il Boresta che non ti aspetti” sarà al Micro di
Roma, fino al prossimo 30 novembre 2021, DPCM e colori zone vari permettendo.
Stefania Vaghi
Pubblicato su Unfolding: